Alla luce del sole – La storia di Sabrina e Giusy – Febbraio 2020

La storia di Sabrina e Giusy è una grande storia d’amore.

Sul blog di CONFIDENZE è stata la più votata sul web, leggetela QUI

È stata attrazione a prima vista tra Giusy e me. Per anni, però, ci siamo nascoste per paura del giudizio altrui. Ma quello scudo che doveva difenderci si è trasformato in una gabbia, così ci siamo decise a uscire allo scoperto.

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L’amore è tutto, ed è tutto ciò che noi sappiamo dell’amore”. Non c’è altro da aggiungere ai versi meravigliosi ed eterni della poetessa Emily Dickinson sul significato dell’amore. Quasi 20 anni fa il mio sguardo ha incrociato quello di Giusy in un corridoio dell’albergo dove lavoravamo ed è stato amore. Entrambe non sapevamo, non potevamo sapere, che l’amore ci aveva già scelte, quello scambio di sguardi nei quali ci siamo rispecchiate l’una nell’altra era già tutto. Io avevo 22 anni, Giusy 25 e la nostra storia è iniziata così. Un colpo di fulmine. All’inizio eravamo solo noi, bastavamo a noi stesse. Avevamo tante cose da dirci, sentivamo il bisogno di conoscerci, la passione ci aveva travolte. Sapevamo che non sarebbe stato semplice, io e Giusy siamo due donne e il nostro sentimento poteva creare problemi e disagio a chi ci stava vicino. In una grande città si può essere meno al centro dell’attenzione, ma una storia come la nostra in un piccolo centro come Camaiore poteva far partire quella ridda di voci che può stringerti fino quasi a strangolarti. Per evitare problemi allora, abbiamo deciso di non parlarne con nessuno. Eravamo una coppia e questo ci bastava. Per tutti gli altri invece eravamo due amiche, inseparabili certo, ma pur sempre solo amiche. Poi il tempo ha iniziato a correre e gli anni sono fuggiti, il nostro amore invece è rimasto ed è diventato più grande ogni giorno. Il problema è che lo sapevamo solo noi e quello che era nato come uno scudo per difenderci dagli altri e per difendere anche noi stesse, piano piano si è trasformato in una gabbia. Doversi nascondere, non poter dire apertamente che si ama quella persona, anche semplicemente non poter prendere la mano dell’altra in pubblico era diventato un fardello che ci stava schiacciando. Stava diventando anche mortificante schivare domande imbarazzanti, talvolta anche ingenue: quando avremmo trovato l’uomo giusto decidendo di metter su famiglia, invece di bighellonare in giro sempre e solo tra amiche. L’imperativo era nascondere in ogni modo, tutelare le nostre famiglie, soprattutto la mia, che non avrebbe accettato, far sì che nessuno si accorgesse di noi. Ma può l’amore vivere avvolto in un mondo di menzogna? Forse no, probabilmente col tempo anche quello più potente se non trova la luce del sole sfiorisce e così stava succedendo a noi. Il nostro amore si stava spegnendo.

Poi due anni fa Giusy ha perso Rex, il suo amico a quattro zampe con il quale divideva la vita da 22 anni. Era vecchio e prima o poi sarebbe accaduto, ma Rex per lei era parte della famiglia ed elaborare il lutto è stato difficile. Proprio lei che aveva sempre avuto forza e coraggio anche per me, che da una vita mi chiedeva di fare quel benedetto passo avanti per dire a tutti che ci amavamo, lei, la Giusy combattiva e forte, sembrava essersi spenta. In quel momento ho capito che qualcosa doveva cambiare e che, se non l’avessi fatto, avrei rischiato di perdere il nostro amore, di perdere tutto. So che le lettrici e i lettori comprenderanno queste mie parole: chi di voi se vedesse soffrire la persona che ama non farebbe il possibile e anche l’impossibile per vederla di nuovo sorridere? Così ho preso il coraggio a quattro mani e insieme a Giusy abbiamo deciso di rendere pubblica la nostra relazione. Chi avrebbe capito, ci avrebbe seguito. Gli altri se ne sarebbero fatta una ragione. I pregiudizi si possono superare e ci siamo dette che la mia famiglia, dopo un primo momento di sbigottimento, ci avrebbe capite. La famiglia di Giusy lo aveva già fatto fin dagli inizi della nostra storia. Trovare il coraggio di parlare e dichiarare a tutto il mondo che si ha una relazione lesbica è stato come liberarsi di un fardello che avevamo portato sulle spalle per 15 anni. Anche Giusy ha iniziato a stare meglio. Potevamo finalmente vivere insieme senza doverci più nascondere, potevamo finalmente dire di essere una famiglia. Il nostro coming out però non è stato ben accetto, in particolare dalla mia famiglia. Purtroppo, hanno una visione ristretta dell’amore e non sono ancora riusciti a superare i pregiudizi che avvolgono le relazioni omosessuali. Forse provano vergogna, forse capiranno in futuro, non so, però io vado avanti. Se volevano la mia felicità, avrebbero accettato anche il mio matrimonio. Sì, perché adesso che potevamo vivere alla luce del sole, volevamo che la nostra coppia fosse riconosciuta da tutti come unica e indissolubile. Non si può vivere nascosti tutta la vita, e col tempo nascondersi e mentire consuma l’anima. Il nostro amore meritava molto più del buio di quattro pareti, l’unico luogo dove ci sentivamo libere di amarci. Per il nostro matrimonio, gli amici ci hanno aiutato nei preparativi ed è stato bellissimo sancire pubblicamente le nostre promesse. Ci siamo sposate il 31 agosto scorso e abbiamo scelto di seguire l’antico rito della rosa. Giusy è arrivata alla location che abbiamo scelto sul lago Puccini cavalcando Bucefalo, un bellissimo cavallo dal folto pelo scuro; quando l’ho vista, ho avuto la certezza di vivere una favola, la nostra. Poi davanti a tutti i presenti, compresa la famiglia di Giusy che era lì con noi, abbiamo pronunciato le nostre intenzioni e ci siamo impegnate a mantenere le promesse dichiarate. Ogni anno, nello stesso giorno, le rinnoveremo l’una verso l’altra. È stata una cerimonia commovente e rimarrà il giorno più bello della nostra vita. Per far sì che lo fosse ancora di più, ho deciso di fare una follia e, superando quella barriera che mi aveva bloccata per anni, ho progettato  un regalo speciale per Giusy. Lei, tra noi due, è quella che ha sempre avuto più problemi a confrontarsi con i giudizi altrui, e volevo fosse chiaro che la mia scelta era voluta, era mia, non imposta. Ho acquistato un’intera pagina del Tirreno, uno dei quotidiani più diffusi in Toscana, e ho annunciato pubblicamente che finalmente era il nostro momento, quel giorno ci saremmo sposate. Ho scelto di riaffermare ad alta voce un messaggio che volevo condividere con tutti. Coraggio deriva dal latino cor, cuore. Avere il coraggio di raccontare la storia di chi sì è veramente, a cuore aperto, è l’unico modo per raggiungere la felicità. E infine, dico a tutti, anche a quelli che da quando la nostra storia è pubblica e non hanno ancora smesso di additarci e di scrivere sui nostri social insulti irripetibili senza neanche conoscerci, ecco, a tutti, comprese queste persone, dico che la famiglia non è sempre una questione di sangue, a volte la famiglia sono le persone che ti vogliono nella loro vita semplicemente per quello che sei. La famiglia sono le persone che fanno di tutto per farti sorridere e che ti amano senza condizioni. Ecco, oggi io e Giusy siamo questo, siamo una famiglia.

 

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Donne di rosa – Poesie di Daniela Rocco

La poesia è un linguaggio che ha una caratteristica unica, riesce a tradurre emozioni e sentimenti in parole. Daniela Rocco è un’autrice che conosce questo linguaggio e che, proprio attraverso la poesia, è riuscita a dare voce ai propri pensieri, a trasporre su carta certi dolori dell’anima che la vita spesso ci consegna. Dolori che se non trovano una via d’uscita possono rendere la vita difficile, complicata, possono offuscare quelle scintille di futuro che ciascuno di noi ricerca per vivere meglio.

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Daniela è una ragazza timida e riservata, distinta da una sorte di pudore personale che cela però una grande forza e determinazione e, quando piano piano lei si scioglie nella chiacchierata fatta insieme, la sua forza emerge con grande impatto. La vita di Daniela è quella di una ragazza che abita la provincia milanese, a Gessate, e che come tante si sposta a Milano e hinterland per le scuole superiori e l’università. La sua famiglia è composta dai genitori e da una sorella più grande. Il papà è affetto da una grave patologia da molti anni e i ricordi di Daniela sono, sin da piccola, legati al papà con la sedia a rotelle. Eppure, nonostante l’handicap, i ricordi di suo padre le illuminano il viso perché sono pensieri dolci che traspirano un grande affetto e un legame potente tra loro. Forse il papà aveva già compreso la vena artistica di Daniela, sin da prima che lei stessa se ne rendesse conto, e questa scoperta ha sicuramente rafforzato il loro legame. Purtroppo, però il papà viene a mancare e il mondo familiare di Daniela perde una colonna importante, non solo per lei ma anche per la mamma e la sorella. Elaborare un lutto è un momento della vita ed è una delle prove più difficili da superare. È dura. Daniela soffre per la mancanza del papà, del suo punto di riferimento e si chiude in sé stessa. È un periodo difficile. Si va avanti lo stesso, certo, è sempre così eppure in lei qualcosa stenta a camminare in avanti. La pittura che è uno dei modi che utilizza per esprimere emozioni le procura sollievo, ma non è sufficiente. Il dolore della perdita è davvero forte. Poi arriva, forse anche inaspettata, la fede. La speranza di un mondo altro, dove ritroveremo le persone amate e dove il pensiero del padre si addolcisce e bui si fa ricordo di miele. Con la fede si attutiscono i dolori e i pianti e arriva la calma. Allora è il momento per Daniela per cambiare linguaggio espressivo. Arriva la poesia. Il primo libro di Daniela si intitola “donna in rosa” e si intuisce già dai primi versi la serenità che domina le poesie contenute. Il libro è dedicato alle persone che sperano in un mondo migliore e, soprattutto, all’altra persona che nella vita di Daniela è un punto fisso, una colonna portante: la mamma. La prima poesia è per Rocky, il suo papà, poi ci sono poesie dedicate all’alba, all’eco, all’infinito. I temi della natura, fantastica e premurosa con le sue creature, sono un fil rouge che lega come una catena tutta l’opera di Daniela. Poi c’è anche un pensiero per Orlando, la persona del cuore di Daniela. E segue anche una poesia per Gino, un gatto grigio che ti guarda con un curioso e schivo sguardo blu. Diverse poesie sono accompagnate da disegni naif che, ancor di più, evidenziano un rapporto con l’arte a tutto tondo di Daniela. E per concludere se si potesse accostare una persona ad un fiore, Daniela sarebbe un girasole, fiori che lei ama. Una grande forza che la sostiene, con una grande apertura verso il sole e verso tutto ciò che è amore.

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L’energia dell’amore, storia di Rosario Pellecchia – BLOG Confidenze

“L’energia dell’amore” di Giovanna Brunitto, pubblicata sul n. 52 di Confidenze, è una delle storie vere più apprezzate della settimana dalle lettrici e lettori.

Ve la riproponiamo sul blog QUI

Sono un deejay e ho mille progetti, la vita ha esaudito molti dei miei sogni di ragazzo. Nessuno però è immune dal dolore. Il mio ha a che fare con la malattia di mia mamma, che le ruba i ricordi. Allora mi affido al linguaggio del cuore
IMG_4433ciascuno di noi accade qualcosa che all’improvviso cambia per sempre il corso degli eventi: può essere una piccola cosa o una vicenda oggettivamente sconvolgente. La mia vita non fu più la stessa da quel pomeriggio in cui per la prima volta sentii le voci e la musica uscire da una scatoletta di legno. Mi dissero che quella cosa magica si chiamava radio e ne rimasi letteralmente folgorato: mi chiamo Rosario, anche se tutti mi chiamano Ross, e questa è la mia storia. Avevo 15 anni quando provai a diventare una di quelle voci: mi proposi alla radio della mia città, Castellammare di Stabia, con una faccia tosta che ancora oggi mi chiedo da dove fosse saltata fuori. Forse fu proprio l’innocenza della mia giovane età a disarmarli, così mi diedero un piccolo spazio. Mi dicevano che ero bravo per essere un principiante, e allora presi coraggio, cercando di imparare in fretta tutti i segreti di quel mestiere: due anni dopo passai a una radio più grande, e quando ne compii 18 mandai il provino a Radio Kiss Kiss di Napoli, la radio più importante del Sud Italia, nonché una delle più ascoltate a livello nazionale. Ero convinto che non mi avrebbero mai richiamato. Invece rimasi lì fino al 1996, anno in cui ricevetti un’altra chiamata, da un’emittente ancora più importante: Radio 105! Il trasferimento a Milano fu organizzato in fretta e furia, lasciai i miei genitori, due fratelli, una sorella e tanti amici, proiettato verso il futuro che desideravo. Da allora ho fatto davvero tutto quello che si può fare davanti a un microfono: programmi al mattino presto, a notte fonda, in diretta da New York, dove ho vissuto per sei mesi. Nel 2001 iniziai una collaborazione con Tony Severo, anche lui conduttore radiofonico. Insieme ci inventammo un format che metteva insieme intrattenimento leggero, interviste a personaggi famosi provenienti da diversi settori della vita pubblica e interventi degli ascoltatori: quel programma è ancora in onda, stabilmente e con grandi risultati di ascolto, ogni mattina tra le 10 e le 12.

 

A9343788In mezzo alle migliaia di ore di diretta ho fatto tante altre cose: cinque album insieme a Fabrizio Fiore, per il quale scrivo i testi in inglese e canto, collaborazioni con riviste, programmi televisivi e, di recente, un libro, uscito a maggio di quest’anno. Si intitola Solo per vederti felice e racconta una storia parzialmente autobiografica: quella della malattia di mia madre, alla quale quattro anni fa è stata diagnosticata la demenza senile.

I primi sintomi sono comparsi quando si è risvegliata dall’anestesia dopo un’operazione al femore, fratturato in conseguenza di una caduta: non appena aprì gli occhi apparve subito chiaro a tutti noi che qualcosa nella testa di mia madre si era rotto. Era confusa, agitata, incapace di ragionare in maniera logica. Qualche anno prima anche mio padre aveva subìto la stessa operazione, e purtroppo era mancato due settimane dopo. La vita, insomma, per quanto dolce possa essere, per quanto possa regalarti ciò che desideri ed esaudire i tuoi sogni di ragazzo, a un certo punto ti chiede il conto: è inevitabile, nessuno è immune dal dolore. Un dolore che ho cercato di lenire raccontando questa vicenda nel mio romanzo, nel quale alla realtà aggiungo elementi di finzione: il protagonista cerca di restituire il sorriso a sua madre attraverso un’idea folle e romantica che mette in pratica nel mese che è “costretto” a trascorrere con lei. Una strategia che si basa sulle uniche armi che il personaggio ha a disposizione: la sua fantasia e l’amore che prova dei confronti di sua madre, persa nell’incubo di quella terribile malattia. Raccontare questa storia mi è servito a esorcizzarne la sofferenza, e il grande successo del libro testimonia che migliaia di lettori hanno trovato lo stesso conforto tra quelle pagine. Quanto alla mia mamma, nella realtà, le cose non vanno benissimo: passerò con lei il Natale, ma inutile dire che non sarà lo stesso di anni fa. Nella terra in cui sono nato e cresciuto questa festa assume i contorni di una vera e propria epopea, un Carnevale di Rio fatto di abbracci, ricongiungimenti familiari, tavolate chilometriche, tombolate con le bucce di mandarino a coprire i numeri sulle cartelle. Soprattutto, tantissime cose buone da mangiare, dal cenone della vigilia, tradizionalmente a base di pesce, al pranzo di Natale, più a tema carne, al cenone di Capodanno: un tripudio di spaghetti alle vongole, baccalà, capitone, ragù, insalata di rinforzo, zeppole varie, mustaccioli e struffoli. Un flusso continuo di leccornie che mi fanno tornare bambino, complici certi rituali che sono sopravvissuti nonostante l’inesorabile passare degli anni: per esempio, gli zampognari al mattino presto annunciano alla città che il Natale è alle porte. Per non parlare del presepe, che ogni papà prepara con i figli usando la colla di pesce e la carta di giornale.

Tuttavia, le cose cambiano e, quando diventi a tua volta un adulto, il Natale, purtroppo, non è più lo stesso. Mio papà è da qualche parte, lassù: me lo immagino come nello spot del caffè che insegna a qualche angelo la procedura per allestire il presepe. Mia mamma, per fortuna, è ancora qui, ma il suo ruolo è cambiato: una volta era lei l’instancabile deus ex machina del Natale, capace di cucinare per decine di parenti con una forza d’animo e uno spirito di organizzazione degni del più esperto e tenace degli chef. Oggi quella donna ha lasciato il posto a una persona diversa, minata nel corpo e nello spirito da una malattia inesorabile che la sta spegnendo poco a poco. Quando hai una mamma in queste condizioni, passi il tempo nell’angosciante attesa che, quando la rivedrai, ti farà la più terribile delle domande, quella che nessuna madre dovrebbe mai porre a suo figlio: «Chi sei?». È solo questione di tempo, potrebbe succedere da un momento all’altro, forse proprio questo Natale. Eppure sono sicuro che anche quest’anno, quando finalmente arriverò a casa il pomeriggio della vigilia, l’abbraccerò, le farò una carezza, la guarderò negli occhi e, nonostante tutto, ritroverò un barlume di quello sguardo dolce e rassicurante che mi faceva sentire il figlio più amato e fortunato del mondo. Perché per quanto i ricordi possano svanire, portandosi via pezzi di vita, esperienze, giorni passati insieme, a tratti l’identità stessa di un essere umano, c’è un’energia che è più forte di tutto questo. Quell’energia si chiama amore.

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Libro: Le affacciate di Caterina Perali

Essere licenziati è molto più che perdere il lavoro.

Nina, voce narrante del nuovo libro di Caterina Perali, lo scopre subito. Le mail non arrivano più, il cellulare è ammutolito, non ci sono vibrazioni che muovono l’aria, tutto si ferma.
Le sabbie mobili della riduzione costi hanno inghiottito tutta la sua vita perchè la sua vita era il lavoro. Quel lavoro che ha fagocitato vita privata, tempo, passioni, amici, sonno. Tutto. Perchè se vuoi vivere a Milano e vuoi essere al centro del mondo che corre devi essere così, deve dare tutto. Non sei più tu, ma solo così esisti in quel mondo.
Poi un giorno, senza avvisaglie, arriva il benservito e Nina va in frantumi. L’unico appiglio che trova per non liquefarsi del tutto è una strana conta di chiodi che le offre piccole porzioni di materialità entro i quali restare sostanza.
Lo shock la rende muta, è impossibile confessare di essere stati licenziati, un’ammissione che renderebbe reale la fuoriscita dal mondo di chi è dentro.
La sua amica Anna con la quale comunica via social è il collegamento con fuori, con la sua vita di prima. E’ virtuale e reale, è la vita che corre via web dove si è sempre in contatto ma non ci si tocca mai. Poi arrivano altre donne a raccontare altre vite, altre realtà e tutto si condensa.
Poi c’è la svolta, una proposta di lavoro in arrivo via mail. Questo mondo non ha più niente di reale e Nina deve fare la sua scelta… Il resto lo scoprirete leggendolo il libro.
Quello che emerge forte è una nuova delirante forma di conformismo che proibisce alle nuove generazioni di vedere in là o semplicemente di avere un punto di vista diverso, laterale, aperto anche a nuovi sogni.
Senza sogni la vita è solamente un susseguirsi uguale di giorni.Senza sogni qualsiasi problema che la vita ti pone davanti sarà semplicemente insormontabile.
Per chi vuole iniziare, riprendere o continuare a sognare, consiglio la letture di “Le Affacciate”.

1580307837377_Copertina Le Affacciate - Caterina Perali - Neo Edizioni - Hi Res (002)

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Libro: Il pericolo di un’unica storia di Chimamanda Ngozi Adichie

Chimamanda Adichie è una delle scrittrici e pensatrici da conoscere per comprendere il tempo nel quale viviamo.

Adichie è nigeriana, in e in età adulta si è trasferita a Filadelfia per studio. Oggi vive tra la Nigeria e gli USA. I suoi libri, le sue lezioni, le sue parole rappresentano un ponte ideale e reale, necessario, tra la cultura occidentale e quella africana. Aiutano a comprendere un altro punto di vista, un modo di vedere quello che ci circonda da altre angolazioni. Inattese e per queste spiazzanti, eppure imprenscindibili per capire il mondo dove viviamo.

In questo piccolo libretto, esamina “il pericolo che crea il racconto di un’unica storia”, di un solo modo di leggere la realtà. Il pregiudizio più semplice, nel senso di quello che si trova ad affrontare tutti i giorni, è il racconto “dei poveri africani affamati”. Lei ha fatto ottimi studi e proviene da una famiglia dove la cultura è di casa, pertanto nella parte della povera africana non si ritrova. Senza contare sul fatto che l’Africa poi è un continente che comprende il Sudafrica ma pure il Mozambico, l’Egitto e il Ruanda, insomma culture, popolazioni e economie molto diverse tra loro. Parlare dunque di africani è una banalità, nella migliore delle ipotesi.

Il fatto è che a noi è arrivata una sola storia raccontata dell’Africa e quella prendiamo a metro di giudizio ogni qualvolta ci avviciniamo a qualcuno o qualcosa che proviene da quel Continente. E’ certo uno sterotipo e in taluni casi può essere efficace per avvicinare ciò che non conosciamo, ma dobbiamo essere consapevoli che gli STEREOTIPI sono INCOMPLETI. Rendono tutto uguale e tutto uguale non è. Adichie,come già fatto con gli altri suoi racconti, ci offre una visione su un mondo che può, anzi deve, essere letto in diversa maniera. Solo avendo più storie possibili potremmo comprendere appieno la realtà che ci circonda e vivere tutti in una società migliore.

UNICA NOTA NEGATIVA va a Einaudi perchè creare un libro su una lezione molto interessane ma breve, veramente breve, della Adichie sembra un modo per sfruttare il nome dell’autrice semplicemente per fare cassa.

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Libro e Teatro: Lasciamo andare madre di Helga Schneider

Lasciami andare madre di Helga Schneider è uno dei libri che tutti dovrebbero leggere perlomeno una volta nella vita.

Andrebbe letto perchè è  difficile commentarlo. Si può dire che è scritto meravigliosamente bene, ed è un fatto, ma le ragioni per le quali ciascuno di noi dovrebbe averne una copia vanno al di là dell’ottima tecnica narrativa.

La lettura ci restituisce quel pezzo di oscurità che in ognuno di noi cova. Tutti le persone sanno che non esistono uomini e donne esclusivamente buone o esclusivamente cattive, seppur poi queste categorie (bene e male) variano rispetto alle sensibilità morali di ciascuno. Eppure sapere che dal male, quello più inspiegabile, quello meno accettabile di tutti, si discende direttamente è durissima da accettare.

Avere una madre che ti abbandona a cinque anni per entrare nelle SS e diventare assistente di Mengele nel campo di concentramento di Auschiwtz è un destino crudele. Riuscire a cancellare le immagini della propria madre che inferisce torture disumane e bestiali è un processo di forza interiore che deve essere compiuto per non impazzire.
Scoprire che lei, la madre che ci ha generato, non si è mai pentita della scelta è oltre la capacità di comprendere …

La forza di Helga Schneider nel trovare dal passato la luce per andare avanti e MAI DIMENTICARE è la ragione per quale dobbiamo leggere l’opera tutta di questa scrittrice e interprete del nostro tempo.

Lasciami andare

Volevo ricordare anche la meraviglòiosa trasposisizone Teatrale  di LASCIAMI ANDARE MADRE del 2006
Musikdrama di Lina Wertmüller e Helga Schneider
dal libro “Lasciami andare, madre” di Helga Schneider
con Roberto Herlitzka, Milena Vukotic
impianto scenico e costumi Enrico Job
musiche Italo Greco, Lucio Gregoretti
luci Jurai Saleri
regia Lina Wertmüller

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Libro: Permafrost di Eva Baltasar

Permafrost è il primo romanzo della poetessa spagnola Eva Baltasar e, sin dalle prime pagine, è subito chiaro che la sua scrittura è figlia di un’audace e sofisticata amante delle parole.
Consiglio di leggere Permafrost a chi ama le scrittrici che disegnano con poche linee un momento, una condizione. La protagonista è sospesa in quel limbo temporale tra la giovinezza e l’età adulta. Ascolta il suo corpo, sa come funziona e sa come va nutrito, quali carezze concedergli per farlo star bene. Ma questa consapevolezza non si riverbera nella sua mente dove trova spazio il disagio di non sentirsi mai bene completamente.
Il Permafrost è quel ghiaccio dal quale è schiacciata, quel muro che la separa da fuori e non le permette di entrare in contatto con gli altri. Come uno specchio, però, il permafrost le fa vedere con precisa chiarezza quello che c’è dall’altra parte. I difetti, le mancanze e le carenze sue e di chi la circonda sono raccontati limpidamente, con ironia e dissacrante umiltà.
Sconsiglio di leggere Permafrost a chi dai libri vuole una soluzione, un suggerimento, l’indicazione di una strada perchè Eva Baltasar non ne fornisce. La sua protagonista, sospesa tra una non vita e la morte, è tutto fuorché consolante, in questo suo modo e in questo suo mondo dove soluzioni non ce ne sono.
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Libro: Il treno dei bambini di Viola Ardone

Un romanzo intenso e coinvolgente con una seconda parte strepitosa.

I treni della felicità furono un’iniziativa di solidarietà nata nel 1946 da un’intuizione di Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana milanese rientrata dal campo di Ravensbrük. Milano era una città affamata e distrutta dai bombardamenti, Teresa Noce con l’aiuto di quello che restava dell’Unione Donne,  ottenne che diversi bambini milanese venissero ospitati da famiglie campagnole,per lo più della provincia di Reggio Emilia che si fossero rese disponibili.  In questo modo, seppur lontani dagli affetti familiari, ai bambini perlomeno il cibo per l’inverno sarebbe stato garantito. L’operazione ebbe così tanto successo che l’iniziativa si estese anche ai bambini del Sud e fino a metà degli anni ’50 circa 70.000 bambini vennero ospitati, curati e mandati a scuola grazie a tante famiglie di comunisti che misero a disposizione quello che avevano per SOLIDARIETÀ. (Link per ulteriori info www.anpi.it/articoli/636/1946-i-bimbi-dei-treni-della-felicita)

Il libro di Viola Ardone ripercorre questa toria semisconosciuta e dimenticata della nostra Italia migliore e, attraverso Amerigo Speranza, un bambino di 7 anni, ci accompagna su un treno che parte da Napoli e arriva a Modena.

La voce di Amerigo, scugnizzo napoletano che ha alle spalle una guerra, bombardamenti, lutti e abbandono è delicata e spudorata allo stesso tempo.  Lo si ama subito Amerigo.  Il candore e la furbizia non lo lasciano mai, gli occorrono per sopravvivere in un vicolo di Napoli dal quale non si vede granché di quello che c’è fuori e dove anche i sogni sono inutili perché tanto anche se si avverano non è nei bassi di Napoli che ciò accade. Eppure nonostante una realtà durissima, Amerigo sa cos’è l’amore perché a modo suo la madre Antonietta lo difende e lo ama con tutta se stessa. Questo è il motivo per cui accetta l’invito dei comunisti e lo fa salire su quel treno. Amerigo arriverà a Modena e incontrerà i suoi sogni e non se ne distacchera’ più.

Non racconto altro, non è necessario. Dico solo che Amerigo adulto, la seconda parte del libro, mi ha profondamente commosso. Mirabile prova di letteratura, la seconda parte, per me sfiora la perfezione per un romanzo.

Ho solo due crucci sulla prima parte;

1. l’autrice offre un’immagine quasi “perfetta” della famiglia modenese che ospita Amerigo. Siamo nel primissimo dopoguerra e c’è troppo cibo in quella casa; in quelle campagne la guerra civile per la liberazione era stata combattuta metro per metro e aveva lasciato divisioni e ferite che certamente non rimargirarono da un giorno all’altro. L’autrice non è riuscita a cogliere il contesto politico e sociale entro i quali quella ospitalità è avvenuta. Troppa dolce la descrizione della famiglia e della società che accoglie i bambini.  Forse l’intento non era quello di una disamina della situazione della provincia emiliana nel primissimo dopoguerra, ma ignorare del tutto quel momento storico non offre una dimensione importante per comprendere cosa sia stato il fenomeno dei treni della felicità.  Anche il sommo sforzo che quelle famiglie compirono in un momento drammatico dell’Italia in nome di un ideale, di una valore condiviso da quasi tutti. Mi dispiace perché se Viola Ardone avesse fatto questo ulteriore sforzo il suo romanzo sarebbe stato perfetto.

2 – La dolcezza con la quale viene dipinta la famiglia che ospita il bambino, talvolta si riverbera anche in qualche pensiero del piccolo Amerigo.  Ed anche qui il romanzo sfugge un po’ all’autrice che per eccesso di attenzione verso il suo protagonista perde quella linearità necessaria che aiuta a non superare il limite oltre il quale la storia vira verso il barocco delle descrizioni.

 

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Libri e film: La verità negata di Deborah Lipstadt

La verità non può essere negata.

Ho conosciuto la storica Deborah Lipstadt attraverso il bellissimo film di Mick Jackson che ha mantenuto lo stesso titolo del libro. L’attrice che ha mirabilmente interpretato  la storica è Rachel Weisz e la sua interpretazione dona alla protagonista una luce di fragilità e forza che merita più di una visione.
Più di una visione perchè il tema di cui si parla è importante e profondo.
Uno storico inglese sostiene la tesi negazionista sui campi di concentramento nazisti e, siccome nei suoi scritti Deborah Lipstadt, sostiene che lui menta e le sue tesi non sono affatto storiche ma opere di fantasia quando non proprio false, lui la chiama in giudizio a Londra per diffamazione.
In maniera surreale, Lipstadt e la sua casa editrice americana devono dimostrare che i campi di concetramento sono veramente esistiti e che quindi non hanno diffamato lo storico inglese.

il libro è la storia del processo, della differenza tra la giustizia inglese e quella americana, della forza della verità dei fatti su un modo di vedere la realtà esclusivamente da un punto di vista.

In questo caso però il film è migliore del libro.
Nel film si comprendono chiaramente i tanti ingarbugliati meccanismi legali messi in atto dal collegio di avvocati inglesi della Lipstadt per mettere in risalto la fallacia dei ragionamenti dello storico negazionista. Si comprendono chiaramente le scelte di non far mai testimoniare la Lipstadt e i sopravissuti dei campi di concentramento.
Il libro si perde spesso in tematiche storiche che sviano l’attenzione dal nucleo della questione. Vale la pena leggerlo perchè sulla Shoah le parlore non saranno mai troppe, ma se vi capita e potete scegliere guardate il film.

Infine, per chi come me ricorda la battage mediatica che si scatenò alla fine degli ’90, ricordo che La verità negata è una storia vera.

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