Archivi autore: Giovanna Brunitto
Libri: Il lettore di Bernhard Schlink
Grazie a un consiglio di lettura di Tiziana Pasetti per Confidenze ho incontrato “Il lettore” di Schlink. E’ stato un colpo di fulmine. Inaspettato e violento, toccante e disturbante. Tutto allo stesso tempo.
La storia tra un ragazzino e una donna matura negli anni ’50 in Germania si intreccia con i conti che le generazioni tedesche post seconda guerra mondiale hanno dovuto fare con il nazismo. Ci sono tanti nodi in questo libro e non si sciolgono. Non possono sciogliersi. Accettare il crimine della Shoah non è possibile. Si può e si deve sapere, ma non c’è modo di trovare una qualsiasi forma di riscatto, neanche dopo anni. Coloro che da dentro vissero il Nazismo potevano fare qualcosa? Potevano reagire? Essere anche solo spettatori di quanto è accaduto significa essere conniventi? E se poi si è partecipato all’Olocausto in maniera attiva? Si è colpevoli lo stesso anche se si sono eseguiti degli ordini? L’accettazione passiva è perdonabile o solo comprensibile? Le altre mille domande che scaturiscano dalle domande precedenti, secondo me, non hanno e non avranno risposta. La Banalità del male di Hannah Arendt è l’unico approccio possibile , ma non è una risposta.
E poi dopo tutto o tra tutto o anzi sopra tutto c’è l’amore. Non cercato, incestuoso quasi, spavaldo e al di sopra anche della cattiveria umana. L’amore come elevazione da tutto ciò che di brutto, perfino mostruoso, c’è in ogni essere umano.
E sull’amore l’unico quesito possibile o forse l’unica certezza … Non scegliamo mai di chi innamorarci
Storia di Mirella – Un’amica speciale – Luglio 2018
Storia di Gabriella- Il segreto – Luglio 2018
Napoli, Convento di Sant’Arcangelo a Baiano
Storia di Pina – Giugno 2018 – Il Convento
Storia di Rosetta – Maggio 2018 – L’Isola
Sul Blog di Confidenze : L’isola” di Giovanna Brunitto è la storia vera più apprezzata del n. 19 di Confidenze, ve la riproponiamo qui
Il primo ricordo che conservo di Marco è legato al tramonto. Avevo sette anni. Con precisione lo rivedo con un camioncino sottobraccio, con l’altra mano tiene quella di sua madre mentre sale sul traghetto per salpare verso la terraferma. Si arrampica su una scalinata del ponte e inizia a salutare. Fino a che riesco a vederlo lui saluta. Nel frattempo insieme alla nave, che diventa più piccola, anche il sole scompare all’orizzonte. Quella è stata la nostra prima estate insieme. Non saprei dire esattamente cosa provassi in quel momento, ricordo però lo struggimento dei giorni successivi e un vago senso di perdita.
Per la prima volta nella vita mi ero sentita sola. Ero una bambina tranquilla e solitaria, sull’isola dove vivevo non c’erano molti bambini con cui giocare, ma la cosa non mi era mai pesata. Mi piaceva stare all’aria aperta e soprattutto mi piaceva che, quasi in ogni punto dell’isola dove mi trovassi, riuscissi a vedere il mare. Anche in classe, se salivo su una sedia in piedi, dalla finestra scorgevo il blu intenso della linea di confine tra terra e cielo e questo mi dava all’istante un senso di serenità. Se c’era cattivo tempo d’inverno non andavamo a scuola per intere settimane, il traghetto che accompagnava il maestro non poteva viaggiare. Ma non ricordo di essermi mai annoiata, né sentita sola. Almeno fino a quel momento. A me piaceva stare all’aria aperta. Raccoglievo qualche rado fiore di campo oppure delle bacche rosse che crescevano nascoste nei rovi. Guardavo i gabbiani fare acrobazie nel cielo come se fosse la cosa più semplice del mondo. Cercavo sulla spiaggia sassi dalle forme strane. Il vento era il sottofondo di ogni mia scorreria esterna. Quando si approssimava l’estate, l’isola si riempiva di gente. Per lo più isolani che ritornavano per le vacanze, ma ogni anno i turisti diventavano un po’ di più. I miei genitori avevano una trattoria e c’era molto da fare. Io giocavo lì intorno. Quell’estate di circa quarantacinque anni fa era arrivata una famiglia in vacanza a maggio ed erano restati per tutta la stagione. Probabilmente con Marco ci siamo incontrati sulla spiaggia e abbiamo iniziato a giocare o può essere stato sulla piazza antistante la trattoria. Non so, né io né lui ci ricordiamo.
Quello che ricordo è la sua partenza. Non ho neanche memoria di particolari promesse di rivederci o altro. Solo la sensazione di aver perso qualcosa mentre il traghetto si allontanava. Il rosso del tramonto che declina verso il buio. Sono trascorsi un altro paio di estati veloci senza che di lui sapessi niente. Poi a maggio del mio decimo anno, Marco è tornato con la sua famiglia. Vi sembrerà strano, ma quando l’ho visto scendere dal traghetto ho respirato. Proprio a pieni polmoni, come se in quel momento avessi ripreso a farlo dopo anni di apnea. Anche per lui dev’essere successo qualcosa di simile, perché ricordo lo stupore sul viso quando gli sono andata incontro e l’ho salutato.
La nostra seconda estate è iniziata così. I miei ricordi sono più netti riguardo quel periodo. Marco mi raccontava della sua classe, lui già frequentava le medie, dei suoi amici di città, di alcuni giochi elettronici che aveva a casa, delle lezioni di karate. Parlava tanto, Marco è fatto così, ha sempre parlato tanto. Io ascoltavo più che altro. Anche perché degli inverni sull’isola c’era poco da raccontare, a parte il vento che sibilava e i gabbiani che ruotavano nell’aria. Anche quell’estate finì e ce ne furono altre intervallate da qualche cartolina natalizia. L’estate dei miei quattordici anni cambiò la nostra amicizia in qualcosa di più.
Quando scese dal traghetto, Marco mi guardò strano e anch’io notai che era cambiato. Aveva dei baffetti che non aveva l’anno prima ed era diventato molto più alto. Ci salutammo, ma non ci incontrammo subito come le altre volte. Ero agitatissima perché pensavo che paragonata alle sue amiche di città dovevo assomigliare a uno spaventapasseri. Non volevo che mi guardasse in quel modo strano, mi mandava in confusione. Avrei voluto riprendere i nostri giochi di chiacchiere e sabbia come l’anno prima, ma allo stesso tempo volevo qualcosa d’altro che ancora non sapevo definire. Compresi cos’era quando seduti sulla spiaggia, qualche sera dopo, lui mi raccontò di una ragazza della sua classe che gli piaceva. Per fortuna era buio e non poteva vedere la mia espressione. Se qualcuno mi avesse dato un pugno in viso, probabilmente mi avrebbe fatto meno male. Mentre lo ascoltavo, realizzavo che avrei voluto essere io quella ragazza. L’idea di essere innamorata di Marco arrivò come una folgorazione. E insieme alla consapevolezza arrivò anche la gelosia. Chi era questa ragazza? Com’era fatta? Era bionda o bruna? Sicuramente doveva essere bella per piacergli così tanto. Tornai a casa e piansi lacrime salate per tutta la notte. Il giorno dopo mi alzai, mi guardai allo specchio e decisi che avrei giocato le mie carte. A quei tempi c’era un giornale per ragazze che dava consigli su come essere sexy, su come piacere a un ragazzo, su come vestirsi e usare i trucchi. Seguii tutti i consigli proposti sotto lo sguardo meravigliato dei miei genitori e gli effetti arrivarono. Marco dopo qualche giorno mi disse che ero molto carina. Una sera mi prese sottobraccio mentre camminavamo sulla spiaggia e il giorno dopo mi baciò al chiaro di luna. In quel momento compresi che era lui l’amore della mia vita. Penso che l’estate dei miei quattordici anni sia stata quella nella quale ho smesso di essere una bambina.
Ma è stata anche qualcosa di più. Allora non sapevo molto dell’amore, di quello vero intendo. Avevo letto tanti libri, ma niente mi aveva preparato al turbamento e allo sconvolgimento che provavo tra le braccia di Marco. Quando ero con lui, ero certa di stare dove avrei voluto essere per tutta la vita. Era come ritrovare la calma e allo stesso tempo sentirsi dentro una burrasca. Tutto e il contrario di tutto. Decisi che Marco sarebbe stato il mio compagno. Per sempre. In quella breve estate compresi che alternative per me non ce n’erano e non ci sarebbero mai state. Lo compresi con una tale forza che me ne spaventai. Quando glielo dissi, Marco invece ne rise. Mi prese in giro dicendo che chissà quanti altri ragazzi avrei conosciuto e che ben presto mi sarei dimenticata di lui. Io sapevo che così non sarebbe stato, ma conoscevo bene anche il ragazzo che avevo davanti e in quel momento compresi che lui non aveva la mia stessa consapevolezza; capii che avrei dovuto aspettarlo. Marco è diverso da me, lo è sempre stato. Lui è solare, loquace, impulsivo e aveva un sacco di piani che riguardavano il futuro. Doveva diplomarsi con ottimi voti, poi doveva laurearsi in Architettura, poi doveva diventare un “pezzo grosso”, così diceva, nel mondo del design e tanti altri poi, ma nessuno di questi comprendeva qualcosa della sfera intima. Nei suoi progetti non era inclusa una relazione, non parlava di una famiglia, non c’era una compagna all’orizzonte. Niente insomma che potesse includere me in qualche modo. Ci restai male, ma non glielo diedi a vedere. Risi delle battute e riprendemmo la nostra estate. Quando a settembre rientrò sulla terraferma, sul molo gli giurai eterno amore e gli promisi di aspettarlo lì, in quello stesso posto ogni anno. Gli dissi anche che non glielo avrei più ripetuto, ma che in qualsiasi momento lui avrebbe voluto io ci sarei stata. Marco mi abbracciò e se ne andò senza dire niente.
A me restò addosso lo sconcerto di aver capito così presto quale sarebbe stato il mio futuro. Ad alcune persone capita di comprendere qual è la strada da percorrere per essere felici abbastanza presto e in maniera chiara ed è quello che è accaduto a me. Altre, invece, impiegano tanto tempo e prima di prendere la direzione giusta, provano tante strade. Marco appartiene a questa seconda categoria.
Sapevo allora che prima o poi sarebbe tornato da me, ma non sapevo che gli anni di attesa sarebbero stati così tanti. Le estati adesso si sovrappongono una all’altra nei miei pensieri. Di ricordi, di giochi, di bagni insieme ne abbiamo fatti tanti. L’estate del mio diciottesimo compleanno gli chiesi di fare l’amore. Lui frequentava l’università allora e mi disse chiaramente che non voleva impegni definitivi perché il suo obiettivo era la laurea. Gli dissi che non importava, per me sarebbe bastata quell’estate. E me la feci bastare.
L’anno dopo non si fece vivo sull’isola e l’anno successivo si presentò insieme a una ragazza molto bella, molto cittadina, molto ricca. La sua fidanzata.
Mi si ghiacciò il cuore, ma sorrisi quando me la presentò. Non so dirvi bene, ma anche in quel momento che ricordo come uno dei peggiori della mia vita, avevo la consapevolezza che lui sarebbe tornato da me. Ed è questa sicurezza che mi ha sostenuto nei lunghi inverni e nelle estati nelle quali non è venuto in vacanza sull’isola. I miei genitori hanno dovuto accettare la mia decisione. Hanno provato a presentarmi altri ragazzi, a mandarmi in vacanza in altri posti, sulla terraferma, ma non sono mai riuscita a innamorarmi di qualcun altro. Né sull’isola, né da altre parti. C’era sempre una voce in fondo al mio cuore che diceva aspetta, aspetta, prima o poi capirà e tornerà da te. Qualche anno dopo Marco si presentò in vacanza accompagnato dalla fidanzata, nel frattempo diventata moglie, con in braccio un bimbo. Davanti alla loro felicità mi misi il cuore in pace, mai e poi mai sarei stata la causa della rottura di una famiglia, però in una serata tempestosa davanti alle onde che si infrangevano rumorose e arrabbiate contro gli scogli gridai tutta la mia rabbia. Urlai disperata, piansi, con i pugni serrati colpii la sabbia nera, diedi sfogo ai miei pensieri, ai miei desideri. Il mare ascoltò tutto e raccolse il mio dolore. Un’onda più forte delle altre mi colpì e mi bagnò completamente. L’acqua era fredda quella sera e restai senza fiato. Però poi piano piano mi ripresi. L’improvvisa quanto inaspettata doccia fredda mi aveva restituito a me stessa. Chi vive a contatto col mare, sa cosa provai in quel momento.
Era come se l’acqua dell’onda colpendomi e ritraendosi avesse portato via con sé il dolore che provavo. Sulla spiaggia ero rimasta solo io e il mio amore, quello che avevo avuto la fortuna di provare. Il mare mi urlava a suo modo che amare era già felicità. In quel momento pensai alla sventura che hanno coloro che nella vita non hanno mai amato e mi sentii fortunata e grata. Sperai nel mio intimo che anche Marco potesse amare con una tale intensità un’altra persona, glielo augurai perché questo dava senso alla propria vita. Purtroppo non sarei stata io quella donna, ma non era importante adesso. Volevo che almeno lui potesse essere felice. Io avrei avuto i ricordi a farmi compagnia e mi promisi di coltivarli per bene.
La rabbia lasciò il posto libero e nel mio cuore si fece spazio la memoria. Ho avuto cura negli anni di innaffiare ogni minimo pensiero che riguardasse Marco.
Alle volte mi coglieva di notte la nostalgia di averlo vicino. Era difficile stare sempre da sola, ma poi portavo i pensieri alle notti che avevamo trascorso insieme sulla spiaggia. Quelle stelle luminose che ci avevano illuminato nelle ore notturne erano le stesse che vedevo dalla mia finestra. E la pace tornava nel mio cuore.
Di estati ne sono seguite tante. Io ho iniziato a gestire la trattoria dei miei e gli anni sono corsi via veloci. Il lavoro che faccio mi piace, mi piace soprattutto poterlo fare sulla mia isola.
Tante persone sono andate a vivere sulla terraferma perché i disagi di vivere in un posto così piccolo e lontano dai grandi porti sono tanti, ma io non ci ho mai pensato. Solo l’idea di ritrovarmi in un luogo dove non si scorge l’orizzonte mi mette ansia, figuriamoci viverci. E poi c’è anche un altro motivo che mi ha trattenuto. Ho fatto una promessa tanti anni fa e l’ho mantenuta. Ho giurato a Marco che l’avrei aspettato.
L’altro anno dal traghetto che portava i turisti di agosto è sceso un signore dinoccolato. Solo. Non vedevo Marco da dieci anni circa, ma ho saputo con certezza che era lui appena l’ho intravisto. Si è diretto verso la trattoria e si è fermato a un tavolo all’esterno.
Non sapevo cosa fare. Dovevo andare io da lui o mandare la mia aiutante? Magari era lì di passaggio e attendeva qualcuno che sarebbe arrivato col prossimo traghetto. Da dietro la tendina a strisce colorata che divide l’interno dall’esterno della trattoria lo spiavo. L’ultimo traghetto ha lasciato sul molo altre persone che si sono disperse in fretta nei vicoli che circondano la piazzetta.
Marco era ancora lì. Solo. Allora mi sono armata di coraggio e sono uscita. Nello stesso momento lui si è girato e mi ha visto. Ci siamo guardati con lo stesso stupore di anni prima. La meraviglia di trovarsi di fronte la persona giusta, quella perfetta per te, ci ha ammaliati ancora. Eravamo invecchiati certo, ma eravamo ancora noi. Poi la sua voce ha rotto il silenzio.
«Ciao Rosetta, quanto tempo è passato. Tu sei sempre la stessa?». Ha pronunciato le ultime parole con un punto di domanda. Voleva una risposta. L’ho guardato e ho capito. Gli ho risposto: «Io sì, sono sempre la stessa e sono sempre in attesa. Tu, Marco, sei sempre lo stesso?».
Volevo una risposta anch’io. Marco mi ha abbracciato e mi ha detto che lui era molto cambiato.
Aveva dovuto percorrere tanta strada nella sua vita e aveva capito che per provare a essere felice doveva tornare dove la felicità l’aveva incontrata per la prima volta.
Quella sera è volata via tra le sue parole e le mie lacrime. Il suo matrimonio era finito da tempo e adesso che il figlio era autonomo niente più lo legava alla città e a un lavoro che non gli aveva mai dato le soddisfazioni che si aspettava. Se io volevo, potevamo provare a vivere insieme e a ripartire da dove ci eravamo fermati anni prima. La mia isola ci avrebbe fatto da nido. Gli ho buttato le braccia al collo e dopo anni di attesa finalmente ho detto sì.
Storia di IOLANDA – Aprile 2018
Libro: VINPEEL DEGLI ORIZZONTI di Peppe Millanta
Per uno di quegli strani arcani che talvolta capitano nella vita, quando meno te l’aspetti e, sopratutto, da chi non avresti detto mai, il libro di Peppe Millanta è arrivato sul mio tablet.
Un consiglio di lettura che potevo non ascoltare, ma qualcosa mi ha spinto e ho insistito. Il cognome dell’autore era proprio Millanta. Pensavo ad uno di quei nomi di famiglia che ti segnano a vita e invece scopro che è un alias che si è attribuito da solo. Penso che nella peggiore delle ipotesi deve essere un autore simpatico e compro il suo libro dal titolo difficile da ricordare … Vinpeel degli orizzonti.
Parto con la lettura e con qualche preconcetto…se mi annoia lo abbandono a pag. 13, se parte con le sovrastrutture metafisiche lo lancio via ma forse è meglio di no che poi mi si rompe il tablet, se è un monotono quanto una serata radical chic mi fermo a pag. 7 e chiedo indietro i soldi a chi me lo ha consigliato.
E poi parto con Vinpeel e arrivano le nuvole. Mi perdo. Mi disoriento. Mi disarma questo ragazzino solo come può esserlo qualcuno costretto a giocare con un amico che sente solo lui. Mi vince la tristezza per un luogo dove ci si rifugia quando non si sa come superare un dolore. Arrivano gli altri che abitano in un posto dove tutto è immobile e si ripete ogni giorno uguale a se stesso. E ciascuno ha una sua caratteristica, ciascuno ha un lavoro, ciascuno ha un ordine da rispettare. Nell’ordine vive lui, Vinpeel. Eppure quella briciola di caos dentro di lui lo aiuta a superare il limite.
Vinpeel, le nuvole, Doan, Mune e gli altri, compresi matti e solitari conquistano l’anima prima che l’intelletto.
E penso che un libro così lo volevo proprio leggere senza neanche averne consapevolezza.
Un libro più simile ad una lunga poesia che ad opera di narrativa.
Un libro che riesce ad entrare nel sogno di ciascuno di noi.
Un libro che riporta a quella breve stagione dell vita nella quale i sogni sembrano tutti realizzabili e forse lo sono per davvero. Basta che non svaniscano con l’arrivo della stagione matura e che resti intatta nell’intimo quella voglia matta di realizzarli solo attraverso l’amore.
Consiglio a chiunque sia stato bambino, anche per un solo giorno, di leggere Vinpeel degli orizzonti … per gli altri che non sanno cos’è lo stupore purtroppo questo libro risulterà incomprensibile.