Com’è bello far l’amore – Film

Per chi vuole farsi quattro risate … senza nessun pensiero … il film è perfetto.

E’ estivo – secondo me era meglio se fosse stato distribuito in estate – e non ti da noia, non ti imbarazza con idee malsane. Perchè lui, il protagonista, sembra davvero troppo imbranato, e lei, la protagonista, davvero troppo sopra le righe, per far sì che una coppia di quarantenni ci si possa proprio identificare. Sulla stanchezza ci siamo,  ma quella si porta dietro problemi quotidiani che nel film non sono neanche sfiorati ( tutti hanno una tata-collaboratrice domestica che solleva dalle noiose faccende quotidiane, per  non parlare dei problemi lavorativi – insesitenti). Insomma un’ora di mezza di quasi niente … ma con questo caldo e dopo innumerevoli news di crisi … va bene così.

Il cammeo del Mago Forrest è fantastico!

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Magnifica presenza – FILM

Sì, Ozpetek è sempre lui. Siamo d’accordo!
Eppure al  film manca qualcosa!

La scoperta di sé del “Il bagno turco” non c’è.
La drammaticità del segreto svelato di “Le fati ignoranti” non è presente.
La ricerca appassionata dell’altro di “La finestra di fronte” è solo accennata.
La coralità solare in una cornice incantata di “Mine vaganti” lievemente sfiorata nella bellezza dei teatranti.

E allora, proprio manca qualcosa.

Forse nella sceneggiatura ci sono dei vuoti … il ragazzo dell’autobus chi è? E chi fine fa dopo aver salvato Pietro Ponte? I teatranti non potevan uscire dalla casa? Ma il perchè non è detto.
E perchè la discesa negli inferi di Pietro con il suo amico travestito in una non meglio specificata “casa della badessa” per ritrovare un’attrice perduta? Non è un sogno, non è una fantasia, non è utile al racconto.

Insomma Ferzan Ozpetek ha fatto di più e meglio!

Ma comunque e nonostante tutto … gli attori – bravissimi, tutti;  l’idea di fondo – seppure non compiuta; i costumi e gli accenni ai rapporti complessi d’amore fanno sì che questo film meriti di essere visto.
Resta il rimpiano per qualcosa di magico che poteva essere.

 

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Cena tra amici – Film

Un po’ teatro …  molto film francese … un po’ serio … molto politically correct … un po’ intimista … molto attento allo spettatore.

E tanti altre descrizioni potrebbero accompagnare il film “Cena tra amici” e tutte sarebbero un po’ troppo o un po’ troppo poco. Come se questo film si fosse avvicinato al segno, senza però centrarlo direttamente.

A me è piaciuta Babu, forse l’attrice migliore nella commedia e senz’altro lo spaccato di vita più interessante di quelli rappresentati, così vicina ad una casalinga, madre, insegnante, moglie, amante disperata ( e non sempre in quest’ordine) che ogni donna ci si può ritrovare.

Gli altri attori, invece, rappresentavano ognuno un carattere ben definito e non c’era una sintesi nella quale si incontrano, e anche qui ogni uomo troverà quello a sè più affine. 

Mentre sulla scena si muovevano, quasi esclusivamente nella stessa stanza, a turno i protagonisti, pensavo che il tempo delle ideologie è finito ( la lite per il nome è nucleo centrale del film ) e si tira un sospiro di sollievo … ma subito dopo appare chiaro che non siamo ancora approdati nel tempo prossimo e restiamo in balia di un’idea che verrà, senza sapere bene cosa sia.
E cosa rimane?
Forse l’amore. In tutte le sfaccettature nel quale può presentarsi…forse anche nell’omaggio finale di un figlio alla propria madre che, però, più che regalo appare come un ultimo, disperato tentativo di avere “l’ultima parola”…

Consigliato a chi ama le commedie cervellotiche con l’aria radical chic … e a chi le odia. Ognuno troverà pane per i propri denti.

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Isacco di Cracovia – storia chassidica di tesori nascosti

Storia chassidica:
«Una notte il rabbino Isacco, figlio di Ezechiele, che abitava poveramente a Cracovia ricevette in sogno l’ordine di recarsi nella lontana Praga e, una volta laggiù, scavare sotto un ponte che portava al palazzo del re. Lì avrebbe trovato un tesoro nascosto.
Egli non prese il sogno sul serio, ma poiché si ripeté uguale quattro o cinque volte, decise di mettersi in cammino in cerca del tesoro.
Quando però, dopo giorni e giorni di viaggio a piedi fino a Praga arrivò al ponte, scoprì con sgomento che era sorvegliato giorno e notte dai soldati.
E, giorno dopo giorno, si recava al ponte senza avere il coraggio di scavare nel punto indicato. Dopo qualche tempo, il capitano delle guardie lo notò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno.
Il rabbino, imbarazzato com’era, alla fine gli raccontò del sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese.
Il capitano scoppiò a ridere: “Ma davvero tu hai fatto tutta questa strada a piedi per dar retta a un sogno? Stai fresco a fidarti dei sogni… Allora anch’io, per dar retta a un sogno che faccio ripetutamente, avrei dovuto recarmi nella lontana Cracovia, in casa di un ebreo di nome Isacco, figlio di Ezechiele, per cercare un tesoro sotto la sua stufa… a casa di Isacco di Ezechiele, in una città dove la metà degli uomini si chiamano Isacco di nome e l’altra metà Ezechiele di cognome! Ora starei ancora a mettere a soqquadro quasi tutte le case della città!” E scoppiò di nuovo a ridere.
Isacco allora lo salutò, tornò a casa sua e da sotto la sua stufa dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga di Cracovia e visse agiatamente.»

Tutto questo per dire che talvolta andiamo lontano a cercare “tesori” che abbiamo sotto il nostro naso senza accorgerci che sono tali.

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Mostra Palazzo Reale – Enrico Baj “Funerale di Pinelli”

 

Milano invasa dall’aria calda … così come Roma o Venezia lo sono di turisti. E in una pausa, calda e carnale, decido di andare nascondermi dall’invasione di afa e di odori, nel Palazzo Reale, accanto al Duomo.

Le locandine invitano, gratuitamente, alla mostra sugli anni ’70 che il Comune di Milano ha allestito nelle sale di Palazzo Reale. Rispondo all’invito e percorro le stanze dove mi assale un freddo intenso, non dovuto all’aria condizionata gelida, ma alle foto in bianco e nero che sembrano dichiarare la mancanza di colori che ha segnato gli anni di piombo a Milano e in Italia.
Talvolta degli sprazzi di rosso o grigio acceso, penso dovute ad eccedenze di rotative.
Arrabbiati, sdegnati, urlanti eppure sempre insieme, folle di ragazzi e ragazze, perlopiù giovani, affolano le pareti delle sale. Collettivi e bandiere rosse, pietre e manganelli. Tutto appesa alle pareti di stanze vuote. Sono sola.
E penso che questo ci hanno lasciato gli anni ’70, una grande solitudine.
Un senso di imcompiuto che mi avvolge e mi trascina fino all’ingresso della Sala delle Cariatidi. BUIA.
La vista si orienta e focalizza la luce nel fondo della sala. 30, 40 metri da percorrere e a lato, illuminate dal basso, statue, per la maggior parte, antromorfe che gridano silenziosamente il loro diritto ad un possente restauro. Sensazione di antro di inferi.
E la vista si riprende ciò che è suo e si adegua catturando per primi i flash rossi e verdi degli automi poliziotti. E fisso con paura gli occhi a forma di rotella, di ingranaggio. Occhi senza vita. Senza cervello. Senza cuore.
Nel mezzo, la figura di Pinelli, che come un novello cittadino di Guernica, cade. A testa in giù. E muore.
Allora Enrico Baj, magistrale autore dell’opera, affianca a colui che cade un insieme di figure, sgomente e attonite. Umane. Persone a destra. Automi a sinistra. E giù, piangenti, le vittime più vittime dell’innocente. Sole e divise, due bimbe ed una moglie piangono straziate la perdita del loro papà e marito.
La potenza di questo messaggio, l’unico che arriva, oggi in quest’epoca di individualismo, mi annienta e nell’immensa sala, con un guardiano seduto all’altro capo della stanza ed intento a giocare con lo smartphone, mi ritrovo a piangere al funerale di un uomo che non ho neanche conosciuto.

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Storia di Patrizia – Confidenze nr. 23 – Giugno 2012

“Ascolta le persone, ascolta quello che dicono e capirai chi sono”. Questo il consiglio che mia nonna, di tanto in tanto, mi dava accompagnandolo con un sorriso.  E da quando sono piccola, ascolto le persone per capirle. Ma purtroppo non sempre ci riesco. Con Maria ha funzionato, lei è la mia migliore amica da sempre e credo che sia la persona al mondo con la quale ho parlato di più. Ma con Marco, il mio primo amore, non è stato così. Abbiamo sempre parlato poco l’uno con l’altro e questo non mi ha permesso di conoscerlo fino in fondo, almeno fino a quel giorno in cui non ha deciso esprimere i suoi pensieri a parole.

Ho conosciuto Marco, una sera al cinema. Avevo vent’anni e con Maria avevamo deciso di andare a vedere “L’amante” di Annaud.  Uscendo dalla sala sia io, sia Maria eravamo visibilmente emozionate e quasi non ci accorgemmo di un gruppo di persone ferme dinanzi a noi. Ci fermammo giusto in tempo prima di travolgere il gruppo. Una ragazza si voltò e riconoscemmo una nostra compagna del liceo che non vedevamo da tempo. Ci salutò calorosamente e ci presentò agli altri. Marco dopo aver pronunciato il suo nome, fece un commento sgarbato sul film, a suo parere troppo sdolcinato e adatto ad un pubblico di “pollastrelle in calore”. Le sue parole furono accompagnate da un sorriso terribilmente seducente e, nonostante la volgarità della frase, i suoi occhi azzurri apparivano innocenti come quelli di un bambino. La serata proseguì in compagnia con aperitivo e cena, ma io non ascoltai più nessuno e non dissi niente, naufragai nel suo sguardo, completamente vinta. Fu un colpo di fulmine titanico! Il giorno dopo, Maria provò a fare dei commenti sui nuovi amici, ma quando si accorse che Marco mi piaceva, si zittì, raccomandandomi, però, di stare attenta prima di buttarmi a capofitto in una storia che, secondo lei, avrebbe potuto darmi dispiaceri. Il sabato sera successivo ci rivedemmo tutti insieme per una cena e quando ci salutammo Marco mi fece un cenno con la testa per indicarmi di stare indietro rispetto al gruppo. Avvampai in viso perché il gesto fu palesemente visto dagli altri presenti, ma rallentai il passo in attesa che dicesse qualcosa, introducesse un argomento di conversazione per conoscerci meglio. Invece lui non disse niente, si limitò ad allungare un braccio intorno alla mia vita. Lo lascai fare, sentire il suo tocco mi inebriava, non riuscivo a respirare regolarmente, figuriamoci pensare. La cena si concluse e tornammo ciascuno a casa propria, senza aver scambiato due parole. Trascorsi la settimana lavorativa in piena confusione. Il sabato successivo la scena con Marco si ripeté, stavolta però ci fu un lungo e appassionato bacio sulle labbra. Di parole tra noi non ce ne furono. Eppure durante le serate con gli amici, era piuttosto loquace, al limite dell’invadenza, non capivo perché con me non parlasse. Giustificavo il suo comportamento attribuendolo ad una sorta di timidezza nei miei confronti. Le serate si susseguivano e di parole non ne arrivavano. Maria, che nel frattempo aveva iniziato una storia d’amore con un altro ragazzo del nostro gruppo ed era al settimo cielo, mi chiedeva se io e Marco eravamo insieme, se eravamo “fidanzati”, ma io non sapevo cosa risponderle. La mia relazione con Marco, fatta di baci appassionati e di strette avvolgenti, non aveva un nome. Dopo qualche mese, iniziammo a vederci da soli. Allora non c’erano i telefonini, pertanto ci davamo appuntamento da un sabato all’altro, senza mai vederci, né sentirci in settimana. Avevo provato a proporre degli incontri diversi, ma lui si scherniva o, semplicemente, non mi rispondeva. Ci incontravamo, ci baciavamo, facevamo l’amore e poi ciascuno a casa propria, fino alla settimana successiva. Oggi mi chiedo come ho potuto accettare una storia che tra silenzi e assenze si è portata via quasi dieci anni della mia vita? Eppure è andata così! Ogni settimana speravo che Marco mi dicesse, finalmente, qualche parola d’amore, oppure semplicemente che volesse condividere con me altro tempo, oltre a quello del sabato sera ma nulla di tutto ciò avveniva. I nostri incontri passionali erano perfetti, ma la nostra relazione non si evolveva, restava una “storia muta”. Ed io che avevo da sempre amato le parole, la conversazione mi sentivo appassire incontro dopo incontro. Io volevo qualcuno con il quale condividere le emozioni o, semplicemente, i fatti di tutti i giorni. Questo amore consumato in silenzio, mi appagava nel breve, ma mi inaridiva. Nel frattempo, Maria si era sposata ed era diventata mamma di una bellissima bambina. Fui felicissima quando mi chiese di fare da madrina alla piccola Lucia, questo il nome della bambina e inoltre mi parve l’occasione buona per ufficializzare, con tutti, la mia relazione con Marco. Il sabato successivo introdussi il discorso e lui, alzando le spalle, disse testualmente: << Non me ne importa niente del battesimo! Vacci tu.>>. Lo guardai inebetita. Quelle parole furono per me un colpo durissimo. Per lui avevo aspettato anni in attesa che si decidesse ad un impegno più serio; avevo represso a viva forza tutti i rimbrotti dei miei genitori per una relazione vissuta da clandestina; avevo finto di non vedere la delusione sul volto della mia amica, prima, e l’imbarazzo dopo ogni qualvolta c’era una festa o una ricorrenza dove puntualmente mi presentavo sola; e su tutto avevo zittito la mia voce interiore che, puntualmente, ogni sera discorreva da sola con l’unico bisogno reale di avere una persona con la quale comunicare. E venivo ripagata così? Era troppo! Quel poco di stima verso me stessa che mi era rimasta, mi permise di allontanarmi. In silenzio. Mi allontanai senza dire una parola! Lo ripagai con la stessa moneta. Non credo abbia compreso il mio gesto e non so che giustificazione si sia dato. Da quel giorno non l’ho più né visto, né sentito. E la cosa più strana è stata che non mi mancava, perché insieme non avevamo costruito nulla. Non mi sentivo più sola di quanto non ero prima. Non avevo nessuno con cui dividere le parole, ma in realtà non l’avevo mai avuto. Mi tornavano solamente in mente le parole di mia nonna e dovevo ammettere che aveva proprio ragione. Se avessi ascoltato prima Marco, avrei capito di che pasta era fatto. Ma non avevo voluto! L’amore che provavo per lui giustificava ogni suo gesto, ogni sua mancanza. Ero convinta che prima o poi sarebbe cambiato.  Trascorsero due mesi in una sorta di apatia che mi rendeva difficile i gesti quotidiani. Alle parole decisi di opporre le lettere ed iniziai a scrivere i miei pensieri. Dapprima con circospezione e, poi, man mano, che passavano i giorni, il mio diario divenne la mia personale cassaforte delle parole. Arrivò anche il giorno del Battesimo e, come sempre, mi presentai da sola. C’erano tanti invitati e Maria, tra gli altri, aveva invitato anche Michele, un amico di suo marito, per fare da padrino alla piccola Luisa. Michele si presentò in maniera cordiale e, durante la giornata trascorsa insieme, chiacchierammo del più e del meno. Quando tornai a casa, quella sera, pensai che dopo un sacco di tempo mi sentivo bene, in forma. Non pensavo che il giorno dopo Michele avrebbe richiamato e neanche che l’avrebbe fatto per i successivi venti giorni, fino a che, decisa a non ricadere nella trappola del silenzio, gli chiesi a bruciapelo cosa volesse da me. La sua risposta, fatta di parole magiche, mi scalda il cuore ogni volta che la ripeto ed è il motivo per il quale io e Michele ci siamo sposati dopo sei mesi e, adesso, abbiamo due figli meravigliosi. Michele mi disse: << Patrizia, voglio solo parlare un po’ con te, vorrei capire come sei! >>

 

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I have a dream! ( questo è il post che vorrei pubblicare post elezioni 2013)

Il PD ha paura del nuovo che avanza? Il PD non sa se è meglio perderle o vincerle le elezioni? Il PD non riesce a scegliere se tutelare gli interessi e i bisogni di nuovi elettori o se continuare a proteggere gli interessi dei vecchi elettori, che però prima o poi finiranno? Il PD non vuole perdere la vecchia dirigenza e non sa se vuole arruolare le nuove facce?

Queste domande ce le ponevamo solamente qualche mese fa, nel maggio 2012.

Adesso sappiamo che il PD ha trovato il coraggio di esprimere delle liste composte da donne ( 73%) e giovani sotto i 28 anni ( 27%) ed ha vinto, anzi no ha stravinto!, dappertutto in Italia.

Non c’è nessun partito, movimento o lega qualsiasi che abbia potuto competere davanti a tanta novità.

L’Italia rosa e giovane può, adesso, ripartire e crescere. E soprattuto sperare in un futuro migliore!

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Crisi

 

 

La crisi, per me, parte dal momento in cui non riesci più ad avere un’idea di quello che verrà. Sia in campo economico sia negli altri campi che toccano la vita. Quella nostra, di tutti i giorni.
A volte può essere un momento di una sola persona. Talvolta,  la mancanza di speranza per il futuro, di capacità di progettare, la paura di cambiare in peggio la propria vita, colpisce la società.

Qual è la soluzione?

Per me è incontrarsi, parlare e progettare. Poi mettere insieme e fare.
Ci vuole coraggio.

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