Ho letto questo libro qualche anno fa e di tanto in tanto lo riprendo per verificare qualche ricordo, per leggere qualche passo sottolineato e qualche appunto ai margini del foglio.
Oggi l’autrice è morta e l’ho ripreso ancora una volta.
La domanda iniziale “perchè sono comunista” è ancora lì.
L’autrice ripercorre la sua vita, l’impegno sociale e politico che l’ha caratterizzata attraverso i fatti politici e sociali del suo tempo e cerca di trovare una risposta.
Non ho ancora deciso se la risposta c’è, se lei la trova, ma credo che in questa continua ricerca sia la parte migliore del libro e dell’impegno di Rossana Rossanda.
Mi ha fatto riflettere sul fatto che ad una domanda così all’apparenza semplice “perchè sono comunista” non c’è una risposta altrettanto immediata.
C’è invece una continua ricerca, un vortice di passioni e di ideali che si rincorrono, una disposizione al sacrificio e spesso a non essere compresi. Eppure nonostante tutto, nonostante rinuce pesanti e grandi delusioni, l’anelito e la speranza che si possa essere migliori, che si possa cambiare in meglio tutti insieme, mettendo in comune pensieri, idee e aspirazioni, non l’abbandona.
Il libro talvolta è troppo pieno di parole e di personaggi non sempre riconoscibili per chi non conosce bene la storia della seconda metà del Novecento, ma per chi vorrà sarà anche questa mancanza una grossa fonte di ispirazione per la conoscenza e la ricerca.
Di tanto in tanto, tornerò a leggerlo anche adesso che l’autrice e il mondo che ha vissuto non c’è più.
Anche se non condividevo alcune sue prese di posizioni e alcune idee, leggerlo è una chiave per comprendere quello che siamo oggi.
Io credo che dal lato medico nessun danno può venire nè alla linea estetica del corpo, nè allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato …
Ecco una parte della sentenza medica che nel 1933 autorizzò l’avvio del giuoco del calcio femminile. Siamo in piena era fascista, in una Milano in bilico tra modernità e oscurantismo. Tre sorelle e un po’ di amiche iniziano ad allenarsi per mettere su una squadra di calcio femminile.
Non scrivo molto di più sulla trama perchè non voglio togliere a nessuno il gusto di scoprire questo pezzetto di storia dello sport.
Io non lo conoscevo e mi ha affascinato molto.
La caparbietà, l’intraprendenza e il coraggio delle donne fa capolino ad ogni pagina.
Il libro è diviso in due parti. La prima romanzata e godibilissima di Federica Seneghini è da leggere tutta d’un fiato. La seconda parte, un’intervista a Marco Giano, storico dello Sport, offre una panoramica completa sul calcio femminile oggi.
Inoltre, e cosa non da poco, l’autrice ha citato le sue fonti con esatezza e dovizia di particolari, in modo che chiunque abbia voglia di approfondire può farlo agevolmente.
Leggetelo perchè la storia di tutte noi e della nostra libertà passa anche attraverso le imprese di queste giovinette.
E dulcis in fundo mi ha anche divertito molto pensare alla “rottura di scatole” che le continue lettere e la “non arrendevolezza” di queste ragazze abbia procurato ai “dirigenti sportivi maschi e forzuti” dell’era fascista.
Ecco, questa frase mi è entrata in testa e non ne vuole uscire. Siamo come ci guardano, siamo come ci guardano, siamo come ci guardano.
L’ho trovata al centro del libro e mi ha preso l’anima. Sì, vero. Tutti noi siamo come ci vogliono, ci adeguiamo agli sguardi altrui, al volere altrui, alla società nella quale viviamo. La nostra sostanza, quello che c’è oltre l’involucro resta fuori da quello sguardo. Chi ci vede da fuori, ci classifica e ci incasella. Et voilà … noi siamo quello. Così capita ad una giovane vedova e ad una ragazzina romena che si trova a Nisida, nel carcere minorile.
La trama la troverete dappertutto e non mi ci soffermo troppo. Il libro presenta diversi cerchi narrativi che si intrecciano. Talvolta in maniera magistrale e ritrova la Parrella che più mi piace. In alcuni punti, però, ho sentito una scollatura tra alcuni punti. Mi sono persa tra il dolore della vedovanza e la storia della ragazzina. Non so, come se ad un certo punto, fosse stato difficile mettere tutto insieme. Mi dispiace per questa mia percezione e può darsi anche che sia dovuta ad un momento mio personale non adatto a leggere il libro. Mi sono resa conto che postpandemia ho bisogno più di leggerezza che di profondità. E questo libro in diversi passaggi è profondissimo. Ma … ecco c’è un ma che mi blocca … non posso definirlo il libro migliore dell’autrice. Avrei voluto qualcosa in più e forse un pizzico meno di manierismo. A tratti, nonostante si legga in pochisismo tempo, ho trovato delle pagine più lente, perse in descrizioni forse troppo intelletuali. Si può essere pienamente intellettuali anche con parole semplici, dirette e chiare, senza superare il varco che porta all’intellettualismo. La Parrella sa esserelo magnificamente bene e mi piace tantissimo. L’eleganza e l’intelligenza delle risposte date nella trasmissione per la finale dl Premio Strega lo dimostrano.
La attendo ancora e per tanti anni ancora in libreria. Leggerla è comunque un esercizio e un massaggio che fa bene e che aiuta a guardare con occhi diversi il mondo che ci circonda.
ALLA RISCOPERTA DELLE AUTRICI DEL NOVECENTO: Alba de Cespedes
1952
Riscrivo, 1952. Anno di stampa di Quaderno proibito di Alba de Cespedes. Questo libro ha 68 anni. Pensavo di addentrarmi in una prosa antica, orpellata, in un libro che affrontava argomenti ormai vecchi, vecchissimi e invece …
Quaderno proibito, con i dovuti accorgimenti al fatto che non c’era la televisione, nè ovviamente internet e compagnia cantando, è un libro di un’attualità sconvolgente.
I sensi di colpa di Valeria, divisa tra famiglia e lavoro; la noia di un matrimonio che trova nell’ignorarsi dei coniugi l’unico motivo per andare avanti; la scelta semirivoluzionaria di una figlia nei confronti della madre; un figlio mashio adorato e incline al mammismo, se non proprio all’immaturità perenne; un tradimento mai consumato e sempre pensato che alla fine non è altro che una trappola come tante altre nella vita di Valeria. Una donna che cerca sè stessa, ma è così pressata dai pesi che si porta addosso ( imposti dalla società o da lei stessa scegliete voi) che alla fine si abbandona all’amarezza, unico sentimento che si concede di provare apertamente.
Attualissimo, ahimè lo scrivo a malincuore, perchè tutti i nodi della vita di Valeria sono ancor oggi i nodi che ogni donna deve affrontare. Ancora. Dopo 70 anni circa forse noi donne meritavamo qualcosa in più, ma spesso, e anche questo lo scrivo a malincuore, siamo ancora le più acerrime nemiche di noi stesse. Come se amarsi e desiderare qualcosa che non sia solo ed esclusivamente il ruolo che la società ci impone fosse un errore. Fosse un peccato.
Leggete Alba de Cespedes perchè è di una modernità sconcertante e perchè con una prosa semplice e diretta descrive i pregiudizi e le complicazioni che la vita impone alle donne e che , spesso, nemmeno percepiamo per quanto siamo abituate a viverle come se fossero normalità.
Ho incontrato questo libro, qualche settimana fa, leggendo la recensione di Paolo Di Stefano su LaLettura. Non conoscevo l’autrice e mi è sembrata una buona occasione per leggerla e allo stesso tempo per conoscere anche Maria Montessori, la protagonista di questa biografia, della quale in effetti sapevo poco, molto poco.
Le biografie sono le letture che mi accompagnano quando sono in crisi di idee, quando sono davanti a degli ostacoli che mi paiono insuperabili oppure quando mi sembra che tutto il mondo mi remi contro. Di solito, per risvegliarmi dal torpore, leggo la vita di qualcuno che ha fatto cose eccezionali, se è una donna è meglio. Mi rilassa e mi rincuora sapere che anche persone di spessore hanno avuto problemi, incidenti di percorso, fraintendimenti quando non veri e propri ostracismi alle imprese che portavano avanti. Allora mi sono immersa nella lettura in questo momento di Fase 2 o 3 post picco pandemia e, ancora una volta, non sono stata delusa.
Maria Montessori, così come emerge dal libro della De Stefano, è una donna complessa con una visione che l’ha accompagna per tutta la vita che però le costerà un prezzo carissimo in termini privati. Una donna che per realizzare la sua visione non esita a chiedere a chiunque le possa dare una mano economica; che scrive e dialoga con Mussolini e con esponenti dei governi europei delle più diverse estrazioni politiche, senza remore e senza pregiudizi politici; che passa attraverso due guerre mondiali e persegue le sue idee fino all’ultimo istante di vita. Un genio, anzi meglio, una donna talentuosa con una visione di futuro che somiglia molto ad una missione e che pone al centro del futuro degli uomini il bambino. E come tutti i geni, è anche una persona complicata, collerica e in certi momenti poco trattabile, spesso impaurita dagli altri proprio quando le sue idee si stanno per trasformare in qualcosa che va oltre lei. Forse questo il suo limite più grande, il non aver saputo vedere che anche altre persone avrebbero potuto rendere grandi le sue idee. Ma bisogna sempre collocare bene le persone nel tempo di vita nel quale si sono trovate ad operare e Maria Montessori in questo non fa eccezioni. E’ una donna che aveva bisogno di soldi per essere indipendente e non voleva farlo attraverso i soldi di un marito che non ha mai voluto. Un figlio sì, però. Ma non scrivo di più perchè mi piacerebbe che leggendo il libro ciascuno si possa fare un’idea propria su questo argomento. Io sono del parere che si sceglie quando si ha una scelta, Maria Montessori non ne aveva di scelte e ha cercato di fare del suo meglio per essere madre.
Sulle sue teorie che oggi sono abbondantemente riconosciute come base della pedagogia e che in diversi frangenti hanno anticipato di decenni studi che adesso la scienza inizia ad approcciare, credo che dobbiamo solo riconoscere la grande intelligenza e forza della Montessori.
Cito solo questa sua frase che fa parte di un suo discorso e che trovo illuminante proprio oggi alla luce dei tempi che viviamo:
Bisogna essere attenti contro l’eccesso di stimoli per i bambini, perché troppo materiale ( ndr troppi giochi, troppo da fare) può confondere…
E chiudo con una sua frase che ha fatto epoca. Alla domanda fattale su dove si sentisse a casa, a seguito dei suoi tanti viaggi e spostamenti, lei risponde:
Il mio Paese è una stella che ruota intorno al sole e si chiama Terra.
Buona lettura a tutti. Amerete questo libro e amerete Maria Montessori, come pure la grazia con la quale l’autrice ha disegnato la vita della più grande educatrice e insegnante del Novecento.
Io & lei può definirsi una storia d’amore sui generis. La lei di questa storia è “graziella”, sì quella bicicletta snodabile degli ’70 e ’80 che ha segnato qeull’epoca. Un giorno Federico decide di iniziare un viaggio con lei, la graziella e un po’ per scherzo, un po’ per scomessa parte.
L’itineraio migliore è percorrere in due tappe la “Via Francigena” e così parte. Il resto della storia la potete leggere qui:
NOI è il nuovo romanzo di Paolo Di Stefano edito da Bompiani e approdato in libreria a maggio.
Paolo Di Stefano scrive in maniera straordinaria e con raro spessore nel perfetto utilizzo della lingua italiana. Solo per questo già val la pena leggerlo. Ma in NOI c’è molto di più di un libro ben scritto. NOI è la storia della famiglia dell’autore e attraversa tre generazioni di uomini. Forse potremmo partire da questo, una storia di famiglia quasi tutta declinata al maschile. Una scelta che mi ha incuriosito molto, non ricorrente nella narrativa corrente, percorsa più spesso da storie di famiglie al femminile. Partiamo dal nonno Giovanni, un uomo figlio del suo tempo, di quegli anni duri e difficili che hanno caratterizzato il dopoguerra in Sicilia e in tutta Italia.
Citazione: In paese lo chiamavano don Giovanni il femminaro, e ancora adesso, se chiedete di lui in zona Stazione, gli anziani e non soltanto gli anziani lo ricordano come il femminaro, mussiando e cioè impostando un sorrisetto malizioso al solo pensiero delle sue imprese madornali e scandalose.
Il nonno è il patriarca al quale tutto è dovuto, feroce difensore di una sicilianità arcaica e sensuale che non si ferma neanche davanti all’età avanzata.
Sempre per rimanere sulle figure maschili, l’altra centrale del libro è quella di Vannuzzo, figlio di Giovanni. Persona dal carattere contrastante e irrisolto. Conosciamo Vannuzzo ragazzo alla ricerca di una sua strada e Vannuzzo padre rigoroso, moralista e dal carattere iracondo.
Citazione: Quando sentiva parlare di valori, di rispetto e di morale, nostro padre era a casa sua, non certo in quella di via Torino 1, ma nella casa interiore del suo risentimento contro un padre debosciato: sin da giovane era entrato nel tunnel del senso del rigore, del dovere e della correttezza inflessibile nutrito come ribellione all’autorità paterna …
Mi sono fermata a riflettere su Vannuzzo, sui suoi scatti d’ira, spesso immotivati o perlomeno incomprensibili, e con molta sofferenza confesso che ho rivisto in lui mio nonno paterno. Personaggio difficile da approcciare, spesso in famiglia cattivo e insensato negli scoppi d’ira, così come all’esterno gioviale e addirittura simpatico con gli estranei. Un controsenso se visto con gli occhi di oggi, eppure così è stato. E come lui, come Vannuzzo, tanti di noi ritroveranno padri, zii, nonni che appena un paio di generazioni fa erano “uomini tutti di un pezzo”, talmente rigidi che spesso dimentichi di sé stessi e di quella briciola d’amore che, molte volte, appiana tante spigolosità. Per fortuna poi si invecchia e con la vecchiaia spesso arriva l’indulgenza.
Protagonista del libro è anche e soprattutto la Sicilia. Una Sicilia inondata di luce ma anche piena di ombre, nobile e rurale allo stesso tempo, come quella che ritroviamo descritta nella grande letteratura italiana.
Ed infine il libro focalizza anche le emigrazioni dalle regioni del Sud Italia verso Milano e verso la Svizzera degli anni ‘50 e ’60. I viaggi di Vannuzzo diventano racconto collettivo per tutti gli italiani che in quegli anni percorsero la nostra penisola verso i vari nord. Oggi è un tema ancora attuale in Italia anche se al contrario, siamo diventati il paese meta di migrazione da altri paesi, in particolare da quelli africani.
L’ultima parte del libro e quella più intimista e commovente. La storia della famiglia si trasforma ed entriamo nelle mura di casa. La voce di Claudio, il fratello bambino dell’autore morto prematuramente di leucemia, diventa più forte e anche noi lettori la possiamo sentire il suo soffiarci sul collo. Questo dialogo con lui che dura tutta una vita è stato forse il modo dell’autore per non abbandonare questo bambino morto così presto.
Si sente il dolore di Paolo bambino, il terrore per la morte del fratellino, le colpe inesistenti che si è attribuito. Avrei voluto chiedere come si può superare un dolore così grande? Poi mi sono fermata perché ho trovato la risposta in una delle ultime immagini del libro.
Citazione: Non appena comincia a scendere il sole, con la luce ancora piena e però già radente, indosso le scarpe da ginnastica: “Andiamo.” E mi allontano con Maria. “Ecco, vedi, questo vuol dire essere felici senza saperlo.” “Ma noi siamo felici e lo sappiamo, ”dice.“ Lo sapremo meglio tra qualche mese che oggi eravamo felici.”
Leggete NOI di Paolo Di Stefano perché ne vale la pena.
Per chi ha voglia, qui il nostro incontro in diretta con Paolo: