Libro: La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante

Sgombriamo il campo da fraintendimenti: La vita bugiarda degli adulti NON E’ L’amica geniale. 

Detto questo, eliminando così false aspettative, io ce le avevo, posso dire che l’ultimo lavoro della Ferrante è un buon libro. I temi affrontanti sono quelli cari all’autrice o all’autore, non c’è ancora certezza sull’identità di chi scrive anche se stringendo il cerchio si arriva dalla parti di Starnone e famiglia. Si parla di un’amicizia nata tra bimbe che a loro volta sono travolte da amori incrociati dei genitori. Nelle opere di Elena Ferrante l’amore è sempre ingovernabile e trascende la volontà umana, sia maschile che femminile. Il corpo accompagna le persone e talvolta è lo specchio dei tormenti interiori. Poi c’è l’aspetto che riporta al titolo, non eccelso sinceramente, che affronta la verità e la realtà. Quello che siamo e quello che vorremmo essere; figli difficili e complessi, quando non cattivi o sprezzanti, che si trasformano in genitori che cercano di dare il buon esempio e dietro questo esempio, dietro la facciata, Giovanna scopre che sua mamma e suo papà sono altro. La pubertà e l’adolescenza saranno segnati da questa “presa di conoscenza” che sarà aiutata molto dall’incontro con zia Vittoria, misconosciuta parente, che con il suo dialetto sguaiato dei bassi napoletani aprirà la nipote a antichi segreti veicolati attraverso un braccialetto che dalla copertina vaga lungo tutta la trama del libro fino alla fine. La solita stuola di personaggi accompagna Giovanna lungo la sua crescita, taluni convincenti, altri un po’ meno.

Non l’ho divorato come la quadrilogia precedente, non sono stata sveglia di notte, credo che anche per questo ne seguiranno altri, dovrà pur crescere Giovanna?!?, e ho avuto la triste sensazione a metà lettura che questo libro sia stato scritto in fretta perché il mercato premeva.

Detto questo e avendo altissime aspettative dopo i precedenti lavori di Ferrante, la lettura de La vita bugiarda non mi ha entusiasmato.  Se lo stesso libro fosse stato di un altro autore che non aveva una tale storia precedente, con probabilità mi sarebbe piaciuto molto ma questo l’ho trovato nella media.

Consiglio però di leggerlo ugualmente perché su un un punto Ferrante è imbattibile: riesce a mettere in luce quelle zone d’ombra che ciascuna anima umana possiede. Una volta individuato quel vulnus accende con la sua penna una luce gigantesca e illumina il più piccolo anfratto, per quanto purulento e doloroso esso possa essere. La totale assenza di qualsiasi pudore è così prepotente che, leggendo le sue righe, mi assale talvolta una sensazione di vergogna, di imbarazzo. Un turbamento nel quale ciascuno si può rispecchiare e capire qualcosa in più di sé.

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Libri: C’era una volta un clandestino di Eltjon Bida

“C’era una volta un clandestino” è il libro che ha vinto il premio Books for Peace 2019 -Special Culture Award e dopo averlo letto, posso affermare che è un premio meritatissimo.

Eltjion Bida è uno dei tanti ragazzi albanesi che a metà degli anni ’90 fugge da un paese che fa fatica a riprendere le fila della democrazia dopo la caduta del sanguinoso regime comunista di Hoxha e, attraverso un viaggio in gommone, approda sulla sponda italiana dell’Adriatico.

Questo libro racconta la storia di quel ragazzo ma è qualcosa di più di un libro autobiografico. Il racconto degli incontri che fa Elty in Abruzzo e, poi, lungo la penisola da Brindisi a Milano dipingono perfettamente l’Italia di fine anni Novanta. La gente che si incontrava in treno, non c’era ancora l’alta velocità né i cellulari, ti parlava e aveva voglia di conoscerti, anche se eri straniero. Una cultura dell’accoglienza che oggi sembriamo aver smarrito. In quegli anni e da quel libro, l’Italia che emerge era ancora un paese ospitale.

Poi c’è la voce del protagonista che corre sul filo del buon umore e della speranza e che, con grande dignità, parla al cuore. Nonostante il lavoro massacrante, nonostante alcune scorrettezze subite, nonostante tutto, Elty va avanti e alla fine ce la fa.

Il clandestino lascia lo spazio all’albanese col permesso di soggiorno che a sua volta poi lascerà il posto all’uomo che oggi è diventato, che abita a Milano, sposato con un’insegnante madrelingua inglese e che vuole fare lo scrittore.

Ci riuscirà ancora Eltjion, ne sono certa, perché il libro ha necessariamente bisogno di un seguito. I tanti personaggi che lo popolano li lasciamo a metà strada e, la storia diventa talmente coinvolgente, che dobbiamo per forza sapere che fine ha fatto Sem, i fratelli clandestini che vivono con Elty e Sem nel vagone abbandonato. E Adriana dalla Germania? E Francesca?
Quindi in attesa che esca il seguito … iniziate a leggere  C’era una volta un clandestino perché fa bene all’umore e apre i cuori.

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Libri per l’estate: tutti quelli di “Reading with joy”

L’estate 2019 ha un disperato bisogno d’amore: di parole sensibili, termini buoni, espressioni dolci, sorrisi nascosti sotto vocaboli, verbi che uniscono. Abbiamo bisogno di storie che ci facciano sognare e anche capire che la vita non è un “urlo verso l’altro”, che condividere e aprirsi, superare pregiudizi e imposizioni esterne, ci permette di amare e essere amati.

Allora TUTTI i 5 romanzi fino ad ora pubblicati da “Reading With Joy” sono perfetti e CONSIGLIATISSIMI per letture al mare, in montagna, in collina, in campagna, in pianura, in città e in tutti i paesi d’Italia e esteri.

Ecco i primi 3:

FUOCO di Roselina Salemi: intensa ed elettrica storia d’amore tra un’avvocatessa e un giovane manager dal passato oscuro. La travolgente passione che li spingerà uno verso l’altro farà loro superare le barriere che avevano eretto a difesa del mondo.

MISSING di Annalucia Lomunno: una rockstar scompare misteriosamente e due donne, pazzamente innamorate di lui, sono alla ricerca della soluzione del giallo o sono coinvolte nella scomparsa? Un thriller con sfumature noir e rosso come la passione.

IO ALL’IMPROVVISO di Federico Toro: una strada imboccata per distrazione porta su un sentiero impervio e arriva anche un temporale. Il momento che sembrava il peggiore cela invece un incontro che si rivelerà magia. La dolcezza di Betta è romanticismo allo stato puro.

Per Natalja e Voglio amarti vi dirò dopo agosto …

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Libri: “Resto umano” di Anna Paola Lacatena

AVVISO ai Signori Lettori e alle Signore Lettrici: Resto umano di Anna Paola Lacatena è un libro con una storia, vera, che TUTTI dovremmo leggere.

La storia di Mike è singolare e comune allo stesso tempo. Una bambina che già dall’infanzia non si ritrova nel suo corpo di femmina e cerca, come può, di affermare una sua identità. Ma la vita è dura per tutti, figurasi per chi è già “marchiato” come diverso, come altro, già alle elementari!
Ed è qui nella fase di crescita di Mike che possiamo ritrovarci … ognuno di noi ha una strada davanti e la percorre con i mezzi che ha. Quelli di Michela sono scarsi e segnati dalla rabbia, le strade sue sono difficili e pericolose divise tra tossicodipendenza e sieropositività, eppure lei le percorre e trova un sentiero che la rimetterà in piedi.
L’amore, quello vero, e l’unione con un’altra anima ferita le darà la forza per diventare Mike e di andare avanti.
Oggi Mike aiuta gli altri e, finalmente, la bellezza vera della sua anima è venuta a galla. In un corpo di uomo o donna, alla fine conta veramente poco.

Di Anna Paola Lacatena – sociologa giornalista, dirigente del dipartimento dipendenze patologiche della Asl di Taranto – vi consiglio di leggere tutto. In particolare se oltre alla storia, vi interessa anche uno sguardo tecnico e professionale.
In “Resto umano”, la seconda parte è dedicata alla disamina della legislazione attuale sul trattamento delle tossicodipendenze.

BUONA LETTURA e BUONA VITA

p.s. Chinaski editore è da seguire qui , un editore che merita attenzione

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Libri: Ventinovecento della “Rinomata Offeleria Briantea”

La “Rinomata Offeleria Briantea” è un collettivo composto da quattro amici storici che decidono di scrivere un libro insieme. A quattro mani.
Siccome l’unico collettivo che conosco in Italia che funziona sono i Wu Ming, mi sono subito incuriosita. E ho fatto bene.

Ho letto il libro veloce e, necessariamente, saltando qualche pezzo. Incontravo gli autori dopo due giorni e volevo dire qualche parola con cognizione di causa. Poi dopo la lettura e l’incontro, ho dovuto lasciare indietro “le nozioni”  insieme alla “cognizione” perché tanto non mi sarebbero serviti.
Ascoltando le prime battute dell’editore Walter di Edizioni Paginauno e poi di due degli autori Rinomata Offeleria Briantea, emerge che Ventinovecento non è un romanzo “dalla linea classica”.
La storia che procede singhiozzando tra quattro protagonisti e rotola sulle gesta di questi adolescenti nella Monza degli anni Novanta. Una provincia ricca, molto ricca, anzi molto provincia che è anch’essa protagonista. Ma, come detto da uno degli autori, raccontare un libro somiglia a un paradosso. I libri si devono leggere. Poi ciascuno ne trae una sua storia e ne fa quello che vuole.
A questo punto ho abbandonato le classiche domande che si fanno alle presentazioni. Ho “smontato” l’idea che mi ero fatta del libro ( non proprio entusiasmante all’inizio) e sono passata a tradurre a parole le sensazioni che ho avvertito, quel qualcosa che ho intuito e ho trovato il filo … che non è in prosa ma procede così … a parole

destrutturato, punk, poco rock, sfigati, allegria forzata, risate per ridere, paura, fumo, cocaina (in tutte le versioni), spacciatori, auto, sportive, curve, figa, cultura, liceo, anni Novanta, power rangers, colloquio lavoro, internet, musica, tristezza, botto, anarchia, politica, modernità, noia, niente in quel niente, mani, quattro o otto, perché leggerlo, perché non leggerlo, valori, utilità, inutilità, morale e immorale, che palle, cazzo, vaffanculo, dolore, morte, bambini, solitudine, amicizia, amicizia che salva, amicizia che dura anche quando di mezzo c’è la mancanza, insieme comunque, giraffa

e ho deciso di rileggere il libro ché c’è molto di più che quello che vi ho scorto la prima volta.

La destrutturazione richiede un’enorme capacità e il Progetto della Rinomata Offeleria Briantea, forse anche a discapito di quanto si era proposto all’inizio, ce l’ha!

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Libri: L’universo delle Fragranze del Prof. Raffaele Lauro

Il nuovo romanzo biografico del Prof. Raffaele Lauro, “L’UNIVERSO DELLE FRAGRANZE – L’epopea artistica di un maestro profumiere: Maurizio Cerizza”, edito da GoldenGate Edizioni, pagg. 205, euro 20, con la prefazione di Andrea Casotti, amministratore delegato di CFF SpA, la più prestigiosa società italiana, di rango internazionale, nella produzione di essenze per la profumeria di eccellenza.

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Il mondo dei profumi è tra le varie espressioni della “bellezza” quello meno indagato nei libri. Forse perché tradurre a parole una sensazione olfattiva o descrivere un turbamento odoroso può essere molto complesso. “L’Universo delle Fragranze” di Raffaele Lauro riempie il vuoto e affronta a tutto tondo l’argomento.

profumiSin dalle prime battute, mi sono ritrovata in un mondo permeato di odori e di profumi. Mi sono perduta su un terrazzo proiettato nel tramonto e ho percepito il profumo dei fiori del Ponente Ligure, intervallato dall’incanto dei sensi prodotto da una salsa di pesto. Ho sentito, come se fosse anche mio, il sollievo della zarina Maria Aleksandrovna, la quale da una terrazza sanremese, nella seconda metà dell’Ottocento, come ne aveva abitudine a Sorrento, anni prima, nel 1871, dall’albergo Tramontano, rimira il il sole calante e ne resta stregata. La bellezza profumata, seppur per un breve intervallo tempo, come un bozzolo, la solleva dai ricordi degli innumerevoli impegni imposti dalla sua posizione imperiale e dai quali spesso si era sentita come schiacciata, a causa delle delicate condizioni di salute.

Proprio da Sanremo, unanimemente conosciuta come la città dei fiori, Lauroinaugura la biografia artistica di Maurizio Cerizza, “naso” purissimo e talentuoso, maestro profumiere dal successo internazionale, che resta affascinato, fin da bambino, dalla mitica leggenda dell’imperatrice. Ritroviamo, così, nelle coinvolgenti pagine di Lauro, un bambino che senza avere ancora la consapevolezza del dono che possiede, già lo sperimenta, anzi per dirla con parole semplici, già esamina il mondo “a naso” prima ancora di rendersi conto di cosa ciò possa significare per il suo futuro di artista. Cerizza è figlio e nipote di profumieri e la storia della sua famiglia si riverbera in lui tramite l’eredità di conoscenza, di esperienza, di memorie olfattive, di cultura estetica e di amore per la natura. E’ sempre quel bambino avvolto da aromi, da effluvi e da olezzi che lo mettono in contatto con la realtà che lo circonda, a volere trovare, in essi, il senso delle cose e il significato profondo dell’esistenza umana.

La filosofia, allora, irrompe nel romanzo e la storia di una vita diventa così anche un saggio sapienzale. Dostoevskij cerca di trovare un senso al mondo intero attraverso la percezione della bellezza della natura. Proust, nella poderosa “recherche”, regala al senso dell’olfatto, unito al gusto, la capacità unica di “riportare indietro nel tempo”, un annullare le distanze temporali, attraverso emozioni e ricordi familiari.

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La vita del giovane Cerizza si fa adulta e l’incontro con maestri indiscussi della profumeria mondiale occupa la seconda parte del romanzo biografico. Qui troviamo un uomo maturo, consapevole del proprio talento e cosciente dell’uso che ne vuole e ne può fare. Una professione artistica, universalmente riconosciuta e celebrata, ma anche una dimensione di vita, nella quale Cerizza esprime al meglio la sua interiorità: la ricerca dell’armonia e dell’equilibrio, in ogni sua creazione di successo. E si comprende bene questo spirito perché di tutti i sensi, così com’è ben rappresentato nel libro, l’odorato è quello più atavico, primitivo, non governabile. Se si è un “naso”, come Maurizio Cerizza, gli odori, i profumi, gli olezzi governano la vita quotidiana con tutto ciò che questo comporta. E quando il talento naturale diventa professione, può anche trasformarsi in curiosità intellettuale e, addirittura, in filosofia di vita.

Ecco un aspetto che mi ha molto intrigata e sul quale certamente farò degli approfondimenti. Le essenze hanno ciascuna delle caratteristiche specifiche, eppure unite insieme, in dosi variabili, danno vita a qualcosa altro: alla creazione, ad un’opera d’arte, ancorché evanescente rispetto ad un quadro, più vicina ad una sinfonia musicale.
La vita di un maestro profumiere diviene un’intensa vita di sperimentazione e di ricerca del dosaggio perfetto, come quella di un pittore con i colori, di uno scultore con la materia grezza, di un designer con una linea, o di un compositore con le note. E’ una continua prova, si intuisce in alcun passi, anche estenuante, nondimeno affascinante e imprevedibile.

libriL’ultima parte del libro è dedicata anche all’avventura creativa di un nuovo stylist, Mauro Lorenzi, il quale ha trasformato la passione per i profumi in un’impresa. “Last but not least” è proprio il caso di aggiungere. Il brand “Mauro Lorenzi Profumi” è una realtà oggi, dopo due anni dall’esordio, e va oltre la creazione di un nuovo profumo, inventa cultura, celebra la storia antica di Roma, riscopre il latino classico. Una ventata di new marketing, con i nomi in latino della collezione (Septimontium) e dei sette profumi (i sette colli): Aventinus, Caelius… L’incontro di Lorenzi con il maestro Cerizza rappresenta una delle chiavi di lettura di questo libro. L’idea è di lanciare uno stile che dia espressione, che sappia dare forma, che raccolga le varie istanze che determinano il momento in cui ognuno di noi vive. Un profumo che si trasforma e diventa un vero e proprio “Zeitgeist”. Da critico letterario, avrei voluto entrare più nel quotidiano dei “nasi” … sapere cosa “odorano” quando sono innamorati, come fanno a mangiare una pietanza non gradita al naso e come affrontano certe giornate “pungenti”.

Una parola conclusiva sull’autore

L’inesauribile e, per certi versi, stupefacente creatività di Raffaele Lauro non cessa mai di stupire e quasi sconvolge chi ne conosce l’intera opera narrativa, ispirata all’amore universale, alla libertà, alla fede religiosa, all’eros come dono divino, e alla bellezza in tutte le sue manifestazioni, interiori ed esteriori: dagli annali materni del Sud, come in Marguerite Yourcenar, all’indimenticabile poetica di Lucio Dalla; dal coraggio della danzatrice russa Violetta Elvin Prokhorova al famoso chef pruristellato, Alfonso Iaccarino, maestro indiscusso della cucina mediterranea; dall’arte profumiera del maestro Maurizio Cerizza ad una nuova dimensione della bellezza, da lui annunziata, che narrerà attraverso la filosofia estetica e la prassi di un famoso medico plastico, ricostruttivo ed estetico, come l’affascinante Fiorella Donati, anch’ella di origini sorrentine, come Lauro, ma operante a Milano e a Londra. L’autore appare già immerso nel nuovo impegno narrativo. Il diciassettesimo. Ci stupirà ancora, ne ho l’assoluta certezza.

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Libri: Briciole di Bellezza di Filippo Cannizzo

Lettura introduttiva dall’ “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij

E io dichiaro che Shakespeare e Raffaello stanno più in alto della liberazione dei contadini, più in alto dello spirito popolare, più in alto del socialismo, più in alto della giovane generazione, più in alto della chimica, quasi più in alto dell’umanità intera perché sono già un frutto, il vero frutto dell’umanità intera, forse il frutto più alto.

Ma sapete, sapete voi, che senza l’inglese l’umanità può ancora vivere; può vivere senza la Germania; può vivere anche troppo facilmente senza i russi. Sapete che l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non si potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Non ci sarebbe più  nulla da fare! Tutto il segreto è qui, tutta la nostra storia è qui.

INTERVENTO: Ho letto il libro di Filippo Cannizzo e mi è piaciuto, parzialmente. Arrivata circa a metà del libro, ho iniziato ad avere delle perplessità. Mi sono posta delle domande per capire cos’è che mi avesse infastidito e cercherò di spiegare le conclusioni alle quali sono pervenuta.

Il libro è un viaggio tra le bellezze italiane. Qualsiasi tipo di bellezza. Si parte dalle bellezze puramente artistiche e architettoniche delle nostre meravigliose città e si approda davanti ad una tavola imbandita, fino ad arrivare alla meditazione davanti ad un bicchiere di vino. Tutte le tipologie di bellezze che, insomma, vengono riconosciute e attribuite a noi italiani ovunque andiamo. Un pregio certamente attribuibile al libro è quello di definire la bellezza in Italia come un’attitudine, un vero e proprio stile di vita.

Noi italiani, non solo siamo stati capaci di creare dei monumenti meravigliosi, opere d’arte bellissime ed eterne, noi italiani facciamo di più. Sappiamo fare di più. Perché il nostro stile di vita è uno stile di bellezza. Ed è talmente tanta la bellezza che ci circonda che spesso non ci accorgiamo che ci sia. Non so se vi è mai capitato di andare in abitazioni estere, a me è capitato, e spesso mi colpisce, non tanto la diversità, quanto la mancata armoniosità che trovo all’estero. In Italia tendiamo naturalmente all’armonia. Nelle nostre case, per esempio, anche le tendine alle finestre seguono un ritmo, un respiro che si accorda con quanto c’è intorno e che porta a stare bene. Se le nostre tavole non sono imbandite nel modo che riteniamo “giusto” nel senso di bello, non mangiamo bene. Il bicchiere, le posate e i tovaglioli devono essere sistemati in un certo modo, altrimenti è come se non stessimo bene, come se non potessimo mangiare nel giusto modo. Lo “stile italiano” ci permette di gustare meglio il cibo. Ecco che la bellezza diventa stile di vita e aumenta la qualità della vita stessa. Questa è la nostra bellezza.

Recentemente, la rivista US News ha stilato la classifica del 2017 dei Paesi più influenti culturalmente e l’Italia è stato incoronato il 1° paese nel mondo. E a pensarci bene c’è da stupirsi. Basta prendere un mappamondo qualsiasi per capire l’enormità del mondo e la piccolezza in termini di dimensione del nostro paese. Per quanto riguarda gli abitanti, siamo poco più di sessanta milioni e, in proporzione, su sei miliardi di persone che popolano il pianeta, siamo veramente un’inezia. Eppure noi ci siamo sempre quando si parla di Bellezza. Avere consapevolezza di questo primato è qualcosa di cui prendere atto in maniera seria e responsabile ed anche con una certa dose di orgoglio.

E adesso passiamo a ciò che del libro mi è piaciuto meno.

Si percepisce tra le pagine un certo senso di scoraggiamento. La civiltà occidentale è in un periodo storico particolare. Siamo in un momento di passaggio, un cambio di epoca che come ogni trasformazione si porta dietro incertezza e perplessità. Nel libro l’autore sostiene, a ragion veduta, che la bellezza in questo momento è offuscata, indica l’Italia come un paese abbandonato a se stesso e definisce i nostri monumenti come cadenti. La copertina del libro, a sostegno della tesi,  mostra una “torre  di avvistamento abbandonata” sull’isola di Lampedusa. Probabilmente abbiamo talmente tante cose da seguire, come patrimonio  artistico e culturale, che quanto sostiene l’autore è vero. Questo è un fatto. Però io dico che se questo è vero, questa visione di decadimento corrisponde a realtà, allora è vero anche il contrario. Se ci occupiamo di bellezza a qualsiasi livello, il decadimento nel senso di abbandono si arresta.

Siamo in questo momento in una sala bellissima, ci stiamo occupando di bellezza, siamo bellezza noi stessi per il solo fatto che ne parliamo, quindi, noi dobbiamo usare la bellezza, sì per dire che c’è tanto da fare, per ribadire che l’Articolo 9 della nostra Costituzione va perseguito, ma possiamo e dobbiamo farlo guardando avanti, guardando al futuro. Con gioia, se possibile. Aprendo a quello che verrà e a chi verrà. Apriamoci senza timori. Bisogna combattere la paura che è la forma di bruttezza peggiore e pericolosa che ci sia. Se io dovessi definire la Bellezza, la definirei come l’antidoto alla paura.

Attenzione! Questa frase va intesa proprio in senso letterale. La bellezza non è l’antidoto al Buono ma alla paura. Spesso abbiniamo ciò che è bello a ciò che è buono, ma ciò che è bello, non sempre è buono anche se siamo tentati e anche istintivamente portati a pensarlo. Spiego. Da ragazzina studiavo a scuola i fatti della Seconda Guerra Mondiale e venivo colta ogni volta dall’ansia. In particolare, quello che erano riusciti a fare i nazisti mi metteva addosso una paura terribile. Da adulta sono stata al campo di concentramento di Auschwitz ed ero terrorizzata al solo pensiero che lì dentro fossero accadute quelle cose, cose inenarrabili per le quali non  ho parole e, persino, faccio fatica a concepire come vere, accadute. Eppure i gerarchi nazisti più vicini ad Hitler, coloro quindi che avevano organizzato e perpetrato lo scempio nazista, in particolare Goering, erano dei grandi estimatori e avidi collezionisti di arte. Ecco che la Bellezza fa gola, interessa anche i “cattivi”. Allora c’è qualcosa che non torna? Cannizzo sostiene nel libro che “noi che rimaniamo umani” dobbiamo perseguire la Bellezza. Così dicendo e come se escludesse dal Bello, tutti gli altri, quelli non buoni, ma attenzione anche coloro che “non rimangono umani” talvolta perseguono la Bellezza. Allora questo è il salto di qualità che forse il giovane autore deve fare e farà tra qualche anno, con l’arrivo della maturità anagrafica e artistica. Assumere che la Bellezza è un patrimonio di tutti, buoni o cattivi che siano. Senza presunzioni. La Bellezza è amorale non immorale.

Non soltanto cioè di coloro che la rispettano o la esaltano, ma anche di coloro che non si accorgono che esiste, di coloro che la deturpano o che semplicemente non la comprendono, vuoi per ignoranza, vuoi per disinteresse. Se si accetta, anzi, se si digerisce questo concetto allora si cercherà di “rilanciare la Bellezza e le Bellezze italiane, non tanto cercando colpe e colpevoli del decadimento, ma puntando sul futuro e lavorando per esaltare tutto ciò che è possibile fare per diffondere il più possibile la cultura e la conoscenza”.

Personalmente faccio fatica ad accettarlo, ma altro modo non vedo per “sopravvivere” in questo momento alle ondate barbariche che fanno assomigliare il nostro tempo più all’alto Medioevo che al Rinascimento. Serviamoci dei barbari, asserviamoli ai fini della bellezza. E ricordiamoci che ciascuno di noi, seppur in diversa misura, è un barbaro. Ciascuno di noi, inoltre, può fare una cosa che reputa BELLA, almeno una nella giornata. La Bellezza declinata in briciole giornaliere potrà così diventare davvero patrimonio di tutti, con umiltà. Apriamoci al futuro. Guardiamo avanti.

La Bellezza ci traguarderà ad essere ancora più “italiani”. Non nel senso di “noi per primi” a prescindere dalle capacità e dai talenti, ma nel senso di perseguire “il nostro stile di vita” fatto di bellezza. Se ci riusciremo, il futuro sarà nostro.

Bussero, 23 Marzo 2019

 

Briciole di bellezza di Filippo Cannizzo

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Libri: Fedeltà di Marco Missiroli

Se avessi potuto dividere il due questo libro, avrei preso la prima parte e l’avrei consigliata a tutti e, con la seconda, avrei fatto un plico e l’avrei inviata all’autore chiedendo la cortesia di provare a riscriverla o tra trent’anni o quando gli sarebbe tornata l’ispirazione. C’è una profonda discrepanza tra le due parti e ho avuto la sensazione che la seconda fosse stata terminata in fretta, come se ci fosse premura per chiudere il libro. Non ho idea se l’urgenza fosse dell’autore o della casa editrice., resta il fatto che c’è.

Ritornando al libro, la storia si insinua in una crepa che all’improvviso si apre in un matrimonio. Un professore giovane e a contratto viene trovato con una studentessa nel bagno dell’università. Si giustifica con tutti sostenendo di averla aiutata perché stava male. E’ una bugia, ma lui la ripete a tutti. Nello stesso tempo la moglie prova uno strano desiderio misto a disagio ad ogni tocco di un giovane fisioterapista. E’ quel momento fotografato in maniera perfetta dall’autore. E’ il momento nel quale in una coppia la passione travolgente inizia a raffreddarsi, a diventare un principio di abitudine. Quello che c’è stato fino allora tra i due è stato fuoco, poi piano piano l’incendio si placa. Nella testa dei protagonisti è una realtà difficile da accettare, la comprendono, sanno che è un momento che deve arrivare, ma non riescono a trovare la chiave per vivere insieme il passaggio ad un’altra dimensione della coppia. Sono giovani e i loro corpi reclamano altro. Il “malinteso” del professore diventa un’ossessione, il fisioterapista della moglie si traduce in un frettoloso rapporto. Poi trovano una strada per andare avanti; insieme decidono per un figlio, da soli decidono di avere più corpi femminili lui, un’amicizia pluriennale con il fisioterapista lei. Sempre nella prima parte sono delineate con precisione due figure che diventeranno, poi, protagonisti della seconda parte. Il fisioterapista farà i conti con la sua omosessualità e con il desiderio di “vivere la violenza” che lo pervade e al quale non sa dare argine. La mamma di lei che da sarta di periferia si trasformerà nell’unica capace di comprendere segreti e sbandate che la vita propone a ciascuno lungo la via della maturità. La via di lei mostrata, la “comprensione” o accettazione è un respiro profondo che è possibile sentire. Per il resto, la maturità che avrebbe dovuto coinvolgere gli altri non è pervenuta. C’è una sorta di limbo nel quale restano incastrati il professore e la moglie. Nessuno dei due si decide a crescere. E “il malinteso” va ben oltre il tempo di un malinteso. In questo il libro ha la pecca peggiore. Perché cerca di dare una risposta dove invece c’è solo immaturità, anche dell’autore. Questi due eterni grandi adolescenti che si rifiutano di diventare adulti, che guardano gli altri sempre come se il mondo fosse centrato su di loro. Mi è risultato ripetitivo, e pure un po’ noioso, nelle parti nelle quali il professore e, di tanto in tanto, la moglie, sono lì a farsi domande, le stesse, da anni. Mi veniva voglia di scuoterli, ma essendo personaggi di carta non ho potuto farlo. All’autore invece una scossa se potessi la darei. Scrivere così bene e banalizzare la fine di un libro partito con tante promesse, è peggio che se fosse stato scritto e raccontato male sin dall’inizio.

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Libri: Nel nostro fuoco di Maura Chiulli

Urticante, inesorabile, bruciante come solo certe opere di vera poesia sanno essere. E fanno male.

Il libro “Nel nostro fuoco” di Maura Chiulli è insieme un viaggio nel dolore e un salto nel vuoto. Quando ci si ferma, quando si atterra si può riprovare a vivere, ma arrivare dall’altra parte, in un sè maturo è una lotta senza esclusioni di colpi. E nella lotta per diventare finalmente adulti, il nostro peggior nemico siamo noi stessi.

La scrittrice riesce ad entrare nell’anima, anzi come suggerisce il titolo, nel fuoco dei due protagonisti e ci restituisce un racconto diretto che descrive le paure e le solitudini di Tommaso e di Elena. Il loro amore amplierà il terrore di Tommaso che davanti alla disabilità e al silenzio di Nina, la loro bambina, fuggirà.

La trama del libro è qui: Hacca Edizioni ma credo questo libro vada letto, oltre che per la storia che racconta, sopratutto perché la voce della scrittrice è un urlo che merita attenzione. In un panorama letterario, spesso votato al buono, in certi casi all’annacquato, questo libro è prezioso, diretto, persino brutale. Eppure è vero. Essenziale. Abbiamo bisogno di scrittrici che sappiano scavare così nell’animo umano, che abbiano il coraggio di nominare emozioni cattive che ci portino all’estremo per poi afferrarci e riportarci indietro.
Sono ipnotizzata dalla lettura proprio come capita davanti ad uno spettacolo di fuoco. Impaurita e attratta, allo stesso tempo.
Maura Chiulli è una scrittrice di estremi, può non piacere certo, ma è necessario leggerla. E’ importante che abbia voce e forza, per noi lettori sopratutto.

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Libri: Indagine su Eichmann di Fabio Galluccio

Sono nata nel 1972. Esattamente 10 anni dopo la morte di Eichmann, condannato a morte in Israele nel 1962, e 30 anni dopo che i nazisti iniziarono il programma su vasta scala, organizzato in ogni dettaglio, dello sterminio degli ebrei. Poi di anni ne sono seguiti ancori oltre 40 e ancora non sappiamo esattamente cosa abbia fatto, dove sia stato uno dei più importanti gerarchi nazisti nel periodo del dopoguerra a quello della sua cattura. E’ possibile capire i suoi movimenti in Argentina dove si recò nel 1950, ma ciò che avvenne tra il 1945 e il 1950, resta oscuro.
Fabio Galluccio prova con il suo libro ad aprire uno squarcio su una storia nascosta e a quanto pare impenetrabile. E così scopro con grande stupore che Eichmann è stato per quasi 4 anni in una località dell’Appennino tosco-emiliano. proprio lì dove furono più cruenti gli scontri tra partigiani e repubblichini e tedeschi.
E scopro anche che a nessuno è venuto in mente di approfondire il soggiorno di Eichmann in Italia, anche ai puntuali e attenti agenti israeliani che pure andarono a prelevarlo a forza fino in Argentina. Neppure c’è traccia del suo passaggio italiano nel libro di Hannah Arendt – La banlità del male che pure ha seguito la vicenda giudiziaria del criminale Eichmann molto da vicino.

La lettura di questo libro è necessaria perché fa sorgere decine di domande.
Fabio Galluccio con una sua personale ricerca pone qualche pietra a sostegno di un “edificio di verità” che ancora deve essere scritto e lancia anche delle ipotesi che andrebbero seguite e scandagliate ben bene. Per amore di verità ma anche per far crescere (e sarebbe ora) quella che dovrebbe essere la coscienza critica del paese verso uno dei periodi più bui della storia. Sarebbe il momento di iniziare a interrogarci su chi davvero siamo stati noi italiani e su quanto abbiamo “partecipato” volontariamente o involontariamente alla barbarie della 2° guerra mondiale.
Quando capiremo chi siamo stati, potremo iniziare a vedere il futuro più chiaramente.

Consiglio anche la visione dei film citati nel libro, in particolare quello sul procuratore Fritz Bauer.

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