Età insulsa 20 anni

Età insulsa 20 anni…si ama da matti e sembra normale; ogni cosa da fare è l’ultima; il tempo non ha valore; adesso vale, altri avverbi non sono contemplati; si è divorati da ansie inesauribili e devastanti; i sentimenti degli altri appaiono sfocati e irrimediabilmente vecchi e tutti, tutti, proprio tutti sentono l’urgenza di cambiare il mondo. Poi per fortuna passano i 20 anni… e si inizia ad amare meglio; si fanno scelte che coinvolgono insieme cuore, testa e corpo; gli altri iniziano ad apparire come persone dotate di pensieri degni di essere ascoltati e capita di meravigliarsi a pensare che avere 40 anni è meglio che averne 20 e poi capiterà che averne 60 sarà meglio dei 40 e così via… comprendendo alla fine che 20 anni è stato solo l’inizio e il verbo cambiare si è trasformato in migliorare.

http://20anni.iodonna.it/et-insulsa-20-anni/735/

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Lulù e le cose da non fare più

 Un gatto è un gatto…..una bambina è una bambina.

 

 

Il gatto miagola                        mi mi miao … mi mi miao

La bambina parla                     Ciao, che bella giornata …bla bla bla

 Ma a volte capita, e non soltanto nelle favole, che un gatto ed una bambina si incontrano ed allora parlano … insieme.

Ma i gatti non parlano! Allora forse miagolano … insieme.

Ma le bambine non miagolano! Allora forse parlano … insieme.

Insomma, per farla breve, non si sa bene come, se parlando o miagolando, riescono a capirsi.

 Allora un certo giorno  ….

Nel paese di GUARDAUNPOTU’ c’era una bambina che si chiamava Lulù.

A Lulù piaceva correre al parco, fare grandi salti e salire sulla gru, che non era proprio una gru ma uno scivolo gigante sul quale lei faceva su e giù, proprio come su una gru.

E le piaceva anche giocare con suo fratello grande Gianlù, che si chiamava Gianluca Antonio Federico Massimo Alberto, ma che lei chiamava Gianlù, per fare prima.

Ogni tanto, però, Gianluca Antonio Federico Massimo Alberto ( vabbè! forse è meglio che, anche noi, lo chiamiamo solo Gianlù, che ne dite?!?) voleva anche giocare con i suoi giochi, creati per i bambini più grandi, e allora si chiudeva nella sua cameretta e accendeva la PSP, la Xbox, il Nintendo DS, la Wiii e giocava … solo per un tempo breve come gli avevano indicato la mamma ed il papà.

Gianlù aveva capito che rispettando i tempi dati dai genitori riusciva a divertirsi tanto …. tantissimo, era sempre allegro e non aveva mai mal di testa o agli occhi come capitava, invece, al suo amico Carlo Francesco Giuseppe Secondo che giocava tutto il giorno con i giochi elettronici e non si fermava mai.

La cosa particolare del paese di GUARDAUNPOTU’ era che si potevano avere tutti i giochi possibili perciò i genitori dovevano fare particolare attenzione ai loro bambini e controllare che i piccoli giocassero con i giochi per i piccoli e che i grandi giocassero con i giochi per i grandi.

 Lulù, però, era molto curiosa ed un po’ disobbediente e voleva proprio giocare con i giochi di Gianlù.

La mamma ed il papà le avevano spiegato che lei non poteva ANCORA GIOCARE  perché era piccola, che nei giochi c’erano immagini, suoni che potevano spaventarla e che bisognava rispettare SEMPRE le indicazioni date dai fornitori di giochi sui limiti d’età.

Sui giochi di Gianlù c’era scritto – VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI – ma questo non importava proprio a Lulù.

A questo punto GATTO, che casualmente era passato dal paese di GUARDAUNPOTU’, decise che era meglio parlare, scusate miagolare con Lulù …. e avvisarla che poteva essere molto pericoloso non ascoltare quello che consigliano i genitori laggiù.

Adesso, però, vi devo svelare un segreto. Gatto non è un semplice gatto. E’ un felino speciale che arriva quando un bambino o una bambina sta per mettersi nei guai … I grandi non lo vedono, sia chiaro …. ma i bambini sanno che c’è. A volte non si fa vedere neanche dai bambini, però sussurra nell’orecchio le cose giuste da fare …. mi mi miao, mi mi miao, mi mi miao che tradotto significa fai attenzione, ascolta i buoni consigli, ricordati cosa ti hanno insegnato mamma e papà e i bambini sentono nella pancia che devono “cambiare rotta” e non fidarsi di persone che non si conoscono, anche se sembrano buone, non allontanarsi da casa senza avvertire prima mamma e papà, non mangiare fino ad ingozzarsi, non fare giochi proibiti  ….. e altre cose pericolose per i piccoli.
A voi non è mai capitato di “sentire nella pancia” un allarme quando bisogna stare attenti? Ecco, il solletico allo stomaco è la voce di Gatto!

Per ritornare a noi ….un certo pomeriggio Gatto entrò di soppiatto in casa di Lulù ed iniziò a seguirla. Miagolava, miagolava di continuo ma Lulù aveva le orecchie chiuse.

La bambina aveva deciso che, uscito suo fratello Gianlù, si sarebbe intrufolata nella sua stanza ed avrebbe usato tutti i suoi giochi elettronici. Detto, fatto, Lulù restò, tutto il pomeriggio, a fare i “giochi da grandi”.

Gatto bussò alla porta della cameretta e continuò per tanto tempo, ma Lulù non sentiva più, assorta com’era a far andare gli occhi, su e giù.

Quella sera Lulù non mangiò niente, aveva un mal di testa mooolto martelloso e un’irritazione agli occhi mooolto bruciosa. La mamma ed il papà si preoccuparono a vederla così e le chiesero se fosse successo qualcosa.

Gatto, da sotto il tavolo, le tirava l’orlo della gonna e miagolava mi mi miao, mi mi miao, mi mi miao che tradotto significa racconta cosa hai fatto, fidati della tua mamma e del tuo papà … Ma Lulù non sentiva più, si era addormentata con la testa che le penzolava giù. Mamma e papà la presero in braccio e la portarono a letto, le diedero il bacio della buonanotte, lasciarono sul comodino il libro che dovevano leggere insieme e chiusero la luce.

Quella notte fu lunghissima per Lulù. Mostri enormi le saltavano addosso, draghi sanguinolenti la costringevano a correre fino a perdere il fiato, bande di creature orribili la volevano prendere e poi streghe, orchi, baubau … e alla fine degli incubi un Mangiabambini enorme stava quasi per inghiottirla …..quando Lulù urlò con tutto il fiato che aveva in gola, svegliando la mamma, il papà e Gianlù.

Gatto saltò sul letto di Lulù e, per calmarla, le fece il solletico sul naso con i suoi lunghi baffi.

Poi le disse mi mi miao, mi mi miao, mi mi miao che tradotto significa: “Piccola Lulù, ecco cosa succede ai bambini che non ascoltano i consigli della propria mamma e del proprio papà. Quei giochi non erano adatti alla tua età, eppure hai voluto provarli lo stesso guardando immagini ed ascoltando suoni che, senza l’aiuto dei grandi, non riesci a comprendere. Quello che è rappresentato è FINZIONE, ma è costruito talmente bene che sembra vero. Devi sempre farti accompagnare da un adulto che ti può spiegare, ad ogni passo, come distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Ed inoltre, pur conoscendo la REGOLA DEL TEMPO, sei stata vicino al video per tutto il pomeriggio buscandoti un gran mal di testa e un gran mal di occhi.”

Lulù, dapprima si meravigliò molto perché comprendeva le parole di quel micio strano …. ma  poi, comprese anche che aveva commesso un grosso errore ed urlò ancora più forte di prima … svegliando, così, tutti gli abitanti di GUARDAUNPOTU’.

Si aprì la porta della cameretta e mamma e papà corsero a consolare Lulù che, fra lacrime e grida, raccontò la sciocchezza che aveva compiuto quel pomeriggio, promettendo di non ripeterla mai più.

I genitori abbracciarono forte e rassicurarono Lulù. Avrebbero voluto darle una punizione, ma rinunciarono perché la bambina, purtroppo a sue spese, aveva già imparato la lezione….

Per quella notte mamma, papà, Lulù e Gianlù …. dormirono insieme fino a non poterne più.

 Gatto capì che la situazione era tornata sotto controllo, a Lulù, con vicino la sua mamma ed il suo papà, non poteva capitare nulla più. Un balzo felino e saltò fuori dalla finestra, brontolando mi mi miao, mi mi miao, mi mi miao che tradotto significa meno male che i bambini hanno i genitori che li aiutano a ripararsi dai “pasticci” … io da solo non ce la farei.

 E con un batuffolo, fatto di peli arruffati, si sturò le orecchie feline tappate.

FINE

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Storia di Patrizia – Confidenze nr. 23 – Giugno 2012

“Ascolta le persone, ascolta quello che dicono e capirai chi sono”. Questo il consiglio che mia nonna, di tanto in tanto, mi dava accompagnandolo con un sorriso.  E da quando sono piccola, ascolto le persone per capirle. Ma purtroppo non sempre ci riesco. Con Maria ha funzionato, lei è la mia migliore amica da sempre e credo che sia la persona al mondo con la quale ho parlato di più. Ma con Marco, il mio primo amore, non è stato così. Abbiamo sempre parlato poco l’uno con l’altro e questo non mi ha permesso di conoscerlo fino in fondo, almeno fino a quel giorno in cui non ha deciso esprimere i suoi pensieri a parole.

Ho conosciuto Marco, una sera al cinema. Avevo vent’anni e con Maria avevamo deciso di andare a vedere “L’amante” di Annaud.  Uscendo dalla sala sia io, sia Maria eravamo visibilmente emozionate e quasi non ci accorgemmo di un gruppo di persone ferme dinanzi a noi. Ci fermammo giusto in tempo prima di travolgere il gruppo. Una ragazza si voltò e riconoscemmo una nostra compagna del liceo che non vedevamo da tempo. Ci salutò calorosamente e ci presentò agli altri. Marco dopo aver pronunciato il suo nome, fece un commento sgarbato sul film, a suo parere troppo sdolcinato e adatto ad un pubblico di “pollastrelle in calore”. Le sue parole furono accompagnate da un sorriso terribilmente seducente e, nonostante la volgarità della frase, i suoi occhi azzurri apparivano innocenti come quelli di un bambino. La serata proseguì in compagnia con aperitivo e cena, ma io non ascoltai più nessuno e non dissi niente, naufragai nel suo sguardo, completamente vinta. Fu un colpo di fulmine titanico! Il giorno dopo, Maria provò a fare dei commenti sui nuovi amici, ma quando si accorse che Marco mi piaceva, si zittì, raccomandandomi, però, di stare attenta prima di buttarmi a capofitto in una storia che, secondo lei, avrebbe potuto darmi dispiaceri. Il sabato sera successivo ci rivedemmo tutti insieme per una cena e quando ci salutammo Marco mi fece un cenno con la testa per indicarmi di stare indietro rispetto al gruppo. Avvampai in viso perché il gesto fu palesemente visto dagli altri presenti, ma rallentai il passo in attesa che dicesse qualcosa, introducesse un argomento di conversazione per conoscerci meglio. Invece lui non disse niente, si limitò ad allungare un braccio intorno alla mia vita. Lo lascai fare, sentire il suo tocco mi inebriava, non riuscivo a respirare regolarmente, figuriamoci pensare. La cena si concluse e tornammo ciascuno a casa propria, senza aver scambiato due parole. Trascorsi la settimana lavorativa in piena confusione. Il sabato successivo la scena con Marco si ripeté, stavolta però ci fu un lungo e appassionato bacio sulle labbra. Di parole tra noi non ce ne furono. Eppure durante le serate con gli amici, era piuttosto loquace, al limite dell’invadenza, non capivo perché con me non parlasse. Giustificavo il suo comportamento attribuendolo ad una sorta di timidezza nei miei confronti. Le serate si susseguivano e di parole non ne arrivavano. Maria, che nel frattempo aveva iniziato una storia d’amore con un altro ragazzo del nostro gruppo ed era al settimo cielo, mi chiedeva se io e Marco eravamo insieme, se eravamo “fidanzati”, ma io non sapevo cosa risponderle. La mia relazione con Marco, fatta di baci appassionati e di strette avvolgenti, non aveva un nome. Dopo qualche mese, iniziammo a vederci da soli. Allora non c’erano i telefonini, pertanto ci davamo appuntamento da un sabato all’altro, senza mai vederci, né sentirci in settimana. Avevo provato a proporre degli incontri diversi, ma lui si scherniva o, semplicemente, non mi rispondeva. Ci incontravamo, ci baciavamo, facevamo l’amore e poi ciascuno a casa propria, fino alla settimana successiva. Oggi mi chiedo come ho potuto accettare una storia che tra silenzi e assenze si è portata via quasi dieci anni della mia vita? Eppure è andata così! Ogni settimana speravo che Marco mi dicesse, finalmente, qualche parola d’amore, oppure semplicemente che volesse condividere con me altro tempo, oltre a quello del sabato sera ma nulla di tutto ciò avveniva. I nostri incontri passionali erano perfetti, ma la nostra relazione non si evolveva, restava una “storia muta”. Ed io che avevo da sempre amato le parole, la conversazione mi sentivo appassire incontro dopo incontro. Io volevo qualcuno con il quale condividere le emozioni o, semplicemente, i fatti di tutti i giorni. Questo amore consumato in silenzio, mi appagava nel breve, ma mi inaridiva. Nel frattempo, Maria si era sposata ed era diventata mamma di una bellissima bambina. Fui felicissima quando mi chiese di fare da madrina alla piccola Lucia, questo il nome della bambina e inoltre mi parve l’occasione buona per ufficializzare, con tutti, la mia relazione con Marco. Il sabato successivo introdussi il discorso e lui, alzando le spalle, disse testualmente: << Non me ne importa niente del battesimo! Vacci tu.>>. Lo guardai inebetita. Quelle parole furono per me un colpo durissimo. Per lui avevo aspettato anni in attesa che si decidesse ad un impegno più serio; avevo represso a viva forza tutti i rimbrotti dei miei genitori per una relazione vissuta da clandestina; avevo finto di non vedere la delusione sul volto della mia amica, prima, e l’imbarazzo dopo ogni qualvolta c’era una festa o una ricorrenza dove puntualmente mi presentavo sola; e su tutto avevo zittito la mia voce interiore che, puntualmente, ogni sera discorreva da sola con l’unico bisogno reale di avere una persona con la quale comunicare. E venivo ripagata così? Era troppo! Quel poco di stima verso me stessa che mi era rimasta, mi permise di allontanarmi. In silenzio. Mi allontanai senza dire una parola! Lo ripagai con la stessa moneta. Non credo abbia compreso il mio gesto e non so che giustificazione si sia dato. Da quel giorno non l’ho più né visto, né sentito. E la cosa più strana è stata che non mi mancava, perché insieme non avevamo costruito nulla. Non mi sentivo più sola di quanto non ero prima. Non avevo nessuno con cui dividere le parole, ma in realtà non l’avevo mai avuto. Mi tornavano solamente in mente le parole di mia nonna e dovevo ammettere che aveva proprio ragione. Se avessi ascoltato prima Marco, avrei capito di che pasta era fatto. Ma non avevo voluto! L’amore che provavo per lui giustificava ogni suo gesto, ogni sua mancanza. Ero convinta che prima o poi sarebbe cambiato.  Trascorsero due mesi in una sorta di apatia che mi rendeva difficile i gesti quotidiani. Alle parole decisi di opporre le lettere ed iniziai a scrivere i miei pensieri. Dapprima con circospezione e, poi, man mano, che passavano i giorni, il mio diario divenne la mia personale cassaforte delle parole. Arrivò anche il giorno del Battesimo e, come sempre, mi presentai da sola. C’erano tanti invitati e Maria, tra gli altri, aveva invitato anche Michele, un amico di suo marito, per fare da padrino alla piccola Luisa. Michele si presentò in maniera cordiale e, durante la giornata trascorsa insieme, chiacchierammo del più e del meno. Quando tornai a casa, quella sera, pensai che dopo un sacco di tempo mi sentivo bene, in forma. Non pensavo che il giorno dopo Michele avrebbe richiamato e neanche che l’avrebbe fatto per i successivi venti giorni, fino a che, decisa a non ricadere nella trappola del silenzio, gli chiesi a bruciapelo cosa volesse da me. La sua risposta, fatta di parole magiche, mi scalda il cuore ogni volta che la ripeto ed è il motivo per il quale io e Michele ci siamo sposati dopo sei mesi e, adesso, abbiamo due figli meravigliosi. Michele mi disse: << Patrizia, voglio solo parlare un po’ con te, vorrei capire come sei! >>

 

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Film: The help …

THE HELP

Per chi non l’avesse ancora visto … consiglio  di vedere  “The Help” . Ne vale veramente la pena!

Bellissima ambientazione inizio anni ’60 in una piccola città del profondo sud USA – Mississippi.

Storia intensa di tante donne che si dipana leggera e ritmica ( pochi uomini in questo film! e tutti dileguanti!) tra razzismo verso i “negri” e voglia di riscatto femminile. Con la nota di sottofondo che risuona e suggerisce che  le barriere invisibili si infrangono meglio se siamo unite.

La scena più bella, quella del taglio e assaggio ( ma è più un ingozzamento) della torta al cioccolato di Minnie  … che chiunque di noi, in qualsiasi parte del mondo e del tempo sia nato, vorrebbe  far assaggiare a qualcuno che ci aggrada particolarmente  … senza dimenticare che per una donna di colore, quel gesto, poteva costare caro, molto caro.

Il coraggio, come è ben detto nel film, non è non aver paura ma battere la paura che tutti proviamo in nome dei valori che fanno sì che ci possiamo chiamare umani, a dispetto di ogni tempo e di ogni luogo.

Buona visione.

 

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Storia di Margherita – Confidenze nr.10 – Marzo 2012

Mi chiamo Margherita, ho 59 anni e da un anno sono a casa dal lavoro. In pensione. Ho un gruzzoletto da parte per far fronte agli imprevisti che si potrebbero presentare e la pensione mensile mi permette di vivere bene; insomma dal punto di vista economico non mi manca niente.  Nei primi mesi era strano ricevere soldi restando a casa, ma alle cose buone ci si abitua presto. Pensavo sarebbe stato difficile non lavorare, separarmi dall’ufficio, mia casa per 40 anni, ed invece non mi è pesato affatto; stento persino a ricordare il volto del collega che mi ha reso la vita impossibile per cinque anni. Mi alzo presto al mattino, faccio colazione, curo il giardino, leggo, mangio e faccio la nonna nel pomeriggio. Veramente non sono propria la nonna di Marika, lei è la nipotina di mio fratello. La piccola lo sa e per distinguermi dagli altri nonni, mi chiama la “nonna Margherita del cuore”.  Tutto perfetto, insomma o quasi. Un piccolo cruccio ce l’ho! E’ un pensiero pigro e si insinua lento nella mia testa quando ho un attimo di ozio. E’ un tarlo leggero, di quelli di cui ci si vergogna un po’ e ci si imbarazza a raccontarlo. Riderebbero di me. Forse la mamma di Marika, la mia adorata Angela potrebbe capire, ma è sempre così presa, tra famiglia e lavoro, che non oso rubarle del tempo e dello spazio. Tra me e me, però lo confesso … vorrei sapere come sono proseguite le vite dei miei compagni di viaggio. Per recarmi a lavoro in città, per quarant’anni, ho utilizzato il treno. Ogni giorno, un’ora all’andata e un’ora al ritorno. E le persone che incontravo erano sempre le stesse. I visi, seppure in certi casi neanche ci si scambiava il saluto, sono sempre quelli ed io li guardavo intensamente, cercando di indovinare le storie che nascondevano. E vi posso assicurare che guardando attentamente una persona si può capire tante cose. Purtroppo con l’arrivo della pensione, alcune storie sono rimaste a metà. Ho lasciato in sospeso il “timido”, un ragazzino brufoloso con degli occhi verdi magnifici, e la “vanitosa”, una ragazza baciata dalla bellezza e già consapevole di questo. Lui ogni mattina, per cinque anni, l’ha guardata adorante e lei, di rimando, lo ha ignorato sdegnosa, ma negli ultimi tempi avevo visto degli avvicinamenti decisi di lui che mi avevano fatto ben sperare. Io facevo il tifo per lui e, quando riusciva a strapparle un sorriso, ero felice come una Pasqua. Poi, vorrei sapere se la signora che saliva due stazioni dopo la mia, ha ricevuto la conferma definitiva del contratto di infermiera. Si è lamentata per due anni del lavoro precario che le toccava fare, ma conoscendola un po’ si lamentava anche per il caldo, per il freddo, per il sole, per la pioggia, insomma per tutto. Secondo me quando usciva di casa, il marito e i figli tiravano un sospiro di sollievo, anche se lei non risparmiava loro critiche e lamenti fatti via cellulare, anche durante il viaggio. C’erano anche persone delle quali sapevo meno che però mi incuriosivano molto. Cercavo di ascoltare, di indagare con lo sguardo, di capire dai movimenti del viso gli stati d’animo, dalle espressioni assunte quando erano soprapensiero carpivo le emozioni. E mi mancano anche loro. Vorrei sapere se la ragazza di Brescia piange ancora per il marito rientrato in casa con l’odore di un’altra o se ride paga, con espressione beota, perché la sera precedente è stato suo il turno dell’amore; se al disperato uomo di Rovato sia mancata la madre malata di Alzheimer, che lui non riconosceva più nell’involucro vecchio e immemore nella quale la malattia aveva costretto quella che doveva essere stata una donna straordinariamente bella, almeno a  giudicare dalle foto che di tanto in tanto lui rimirava furtivo nel portafoglio; e poi mi mancano i ragazzi con i loro zaini e i pantaloni vista-sedere, mi chiedo se saranno ancora di moda o nel frattempo saranno stati sostituiti da altro, magari adesso vanno in giro con le salopette che coprono anche il volto ed io non lo so. Il viaggio in treno, le emozioni che vivevo da Brescia a Bergamo sono le uniche cose, le uniche, che mi mancano. Il viaggio era più importante della meta. Entrare nel vagone, lo stesso per anni, mi apriva le porte di una telenovela che si aggiornava quotidianamente. Con le ripetizioni solite, tante che mi rassicuravano e con i colpi di scena che ravvivano la mia giornata. E poi c’era la possibilità di incontri, nuovi!
Nella mia vita, che si è ripetuta per anni sempre nello stesso modo, la variabile era rappresentata dal tragitto per arrivare in ufficio e tornare a casa. E’ strano come i miei compagni di viaggio, dei quali non conosco, né conoscerò mai i nomi, sono quelli che mi hanno guardato e che a mia volta ho scrutato di più. Ah quanti ricordi legati alle occhiate!
Potrai parlare per ore dello “sguardo di rapina” che mi ha accompagnato per un anno da Grumello a Bergamo. Lui era bruno e corpulento, vestiva con una tuta da lavoro ed aveva grosse mani callose. Ho sognato tutti i giorni quelle mani. Saliva in treno e si posizionava davanti a me, si fermava e mi fissava con occhi di brace. All’inizio giravo la testa sdegnosa di attenzioni non richieste, ma l’insistenza, la brama così manifesta erano impossibili da ignorare. Non è che due occhi neri, lucidi, incorniciati da ciglia vellutate si trovano così! Di giorno in giorno, aspettavo sempre con più ansia la fermata galeotta. Ed insieme all’ansia, cresceva il tempo trascorso a casa a prepararmi per uscire. Tanto che talvolta correvo il rischio di perdere il treno. Allora ero sposata con Alberto, ma la nostra relazione era stanca e vuota da anni. Figli non ne erano mai arrivati e, dopo, la passione iniziale eravamo quasi due estranei che vivevano sotto lo stesso tetto. Il divorzio è arrivato qualche anno dopo. Una sera avevo anche provato ad accennare a mio marito che in treno un uomo mi fissava. Mi aveva fissato anche lui, ma il suo sguardo tradiva una certa inadeguatezza a comprendere le mie parole. Il mio mondo “viaggiante” era una dimensione nella quale vivevo solo io, novella Alice nel treno delle meraviglie, ed allora avevo lasciato perdere, assolvendomi da sola per un peccato che rimaneva solo nelle intenzioni, senza diventare gesto concreto.Quell’anno trascorse in fretta e una mattina il mio lui con la tuta blu mi salutò dicendo che cambiava lavoro e itinerario. Purtroppo i nostri tempi non erano coincisi, lui era andato via prima che il mio matrimonio fosse finito. Ed io sono stata sempre troppo timida e pudica, forse anche un po’ codarda, per imbastire una storia extraconiugale. Era strano, noi che non avevamo scambiato mai una parola fino a quel momento, ci salutammo come se avessimo condiviso giorni, ed anche notti, di chiacchiere. Scendendo mi augurò cose belle e disse che ci saremmo rivisti. Chissà adesso dov’è e cosa fa? Magari, di tanto in tanto, riprende il treno. Magari mi cerca con lo sguardo tra i mille occhi che popolano il vagone di mezzo. Magari un giorno mi sveglio presto e faccio un giro in treno.Chissà che non potremmo ritrovarci … Adesso sarebbe il momento giusto!

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