Sono nata nel 1972. Esattamente 10 anni dopo la morte di Eichmann, condannato a morte in Israele nel 1962, e 30 anni dopo che i nazisti iniziarono il programma su vasta scala, organizzato in ogni dettaglio, dello sterminio degli ebrei. Poi di anni ne sono seguiti ancori oltre 40 e ancora non sappiamo esattamente cosa abbia fatto, dove sia stato uno dei più importanti gerarchi nazisti nel periodo del dopoguerra a quello della sua cattura. E’ possibile capire i suoi movimenti in Argentina dove si recò nel 1950, ma ciò che avvenne tra il 1945 e il 1950, resta oscuro.
Fabio Galluccio prova con il suo libro ad aprire uno squarcio su una storia nascosta e a quanto pare impenetrabile. E così scopro con grande stupore che Eichmann è stato per quasi 4 anni in una località dell’Appennino tosco-emiliano. proprio lì dove furono più cruenti gli scontri tra partigiani e repubblichini e tedeschi.
E scopro anche che a nessuno è venuto in mente di approfondire il soggiorno di Eichmann in Italia, anche ai puntuali e attenti agenti israeliani che pure andarono a prelevarlo a forza fino in Argentina. Neppure c’è traccia del suo passaggio italiano nel libro di Hannah Arendt – La banlità del male che pure ha seguito la vicenda giudiziaria del criminale Eichmann molto da vicino.
La lettura di questo libro è necessaria perché fa sorgere decine di domande.
Fabio Galluccio con una sua personale ricerca pone qualche pietra a sostegno di un “edificio di verità” che ancora deve essere scritto e lancia anche delle ipotesi che andrebbero seguite e scandagliate ben bene. Per amore di verità ma anche per far crescere (e sarebbe ora) quella che dovrebbe essere la coscienza critica del paese verso uno dei periodi più bui della storia. Sarebbe il momento di iniziare a interrogarci su chi davvero siamo stati noi italiani e su quanto abbiamo “partecipato” volontariamente o involontariamente alla barbarie della 2° guerra mondiale.
Quando capiremo chi siamo stati, potremo iniziare a vedere il futuro più chiaramente.
Consiglio anche la visione dei film citati nel libro, in particolare quello sul procuratore Fritz Bauer.