“Echi di zampogne” di Giovanna Brunitto, pubblicata sul n. 52 di Confidenze – Numero di Natale
Il 2014 è stato quello in cui mi si è rotto tutto. Ho dovuto cambiare l’automobile per un guasto al motore, TV e computer mi hanno abbandonato per un fulmine che ha colpito il palazzo in cui vivo e la lavatrice ha smesso di perdere acqua solo quando l’ho buttata via definitivamente. E si è rotta anche la mia storia con Gianluca. Dopo cinque anni di relazione, mi sembrava giunto il momento di qualcosa di più serio di weekend fuori, cene e feste. Entrambi avevamo passato la trentina già da un po’ e sentivo l’esigenza di un rapporto più stabile, di qualcosa che potesse definirsi l’inizio di una famiglia, ma lui non era d’accordo. Mi ha augurato di trovare presto un compagno serio, ha sottolineato più volte la parola “serio”, ed è uscito dalla porta e dalla mia vita. Ho provato a chiamarlo ma non ha risposto. Qualche giorno dopo, è arrivata la notizia della brutta malattia di mia madre e mi sono dimenticata di cercarlo. Ho percorso la strada da nord a sud della penisola ogni settimana per starle vicino, ma quel male se l’è portata via in pochi mesi. La sua perdita mi ha rotto il cuore. L’anno è finito e non c’era più niente che si potesse rompere. I mesi successivi sono trascorsi quasi senza che ne avessi consapevolezza, aiutata dal mio lavoro che mi ha occupato tutti gli spazi possibili. Ho lavorato ininterrottamente senza un giorno di ferie fino a dicembre. Ero stremata e soprattutto ero sola. Mia mamma amava l’ultimo mese dell’anno e per Natale organizzava grandi feste che riunivano la famiglia. Ma quest’anno lei non c’era e quindi avevo deciso che non sarei andata a casa dai miei. L’idea di trovare la casa vuota o di essere, tra i miei fratelli, l’unica senza compagno o famiglia, mi era insopportabile. Avevo accampato all’inizio del mese delle scuse lavorative che mi avrebbero trattenuto a Milano e avevo deciso che non avrei festeggiato le festività in nessun modo. Contavo sulla complicità della città meneghina che, con la sua forte vocazione lavorativa e i ritmi frenetici, mi avrebbe di certo aiutato a dimenticare Natale e la solitudine o quanto meno a non ricordarmeli ogni minuto. Per me Natale è sempre stato l’odore dei mandarini, i rococò, il presepe e la tombola in famiglia, non certo vetrine addobbate come passerelle e luci da stadio. Quindi non correvo rischi a Milano, del mio Natale non ne avrei trovato traccia. La certezza è sfumata il giorno dopo Sant’Ambrogio. Sono rientrata a casa prima del solito per una riunione saltata all’ultimo minuto, la sera non era ancora del tutto arrivata. Mentre giravo la chiave nel portone della palazzina, ho sentito una nenia, una musica. Era il suono di una zampogna. Al centro del giardino condominiale c’erano un gruppo di quattro zampognari che suonavano la novena intorno ad una nicchia dove il custode normalmente montava un brutto presepe fatto da lui di cui andava fierissimo. Sono rimasta così colpita dal suono che mi sono avvicinata. Ad ogni passo sentivo lo stomaco contrarsi. Quel suono mi era così familiare. Quando ero piccola al mio paese gli zampognari comparivano agli inizi di dicembre e facevano il giro in tutti i portoni , suonando le canzoni tradizionali del Natale. Erano un avvenimento nuovo ed allo stesso tempo rappresentavano il perpetrarsi della tradizione. Ogni famiglia faceva loro un’offerta e tutti li tenevano in grande considerazione, come dei re magi venuti apposta per festeggiare insieme a noi il Natale. Ecco quel ricordo mi sapeva di una magia che non ricordavo più. Ero senza parole e quando hanno finito, mi sono ritrovata con le lacrime agli occhi. Mi sono vergognata di questa debolezza e senza neanche salutare ho battuto i tacchi e sono salita a casa mia. Una volta sul divano mi sono accorta che non avevo fatto neanche un’offerta. Se mia madre avesse potuto vedermi, mi avrebbe ripreso e rimproverato: “Loredana è Natale, è la Festa più importante dell’anno, offri quello che hai e vedrai che il Signore ti ricompenserà mille volte di più.” Ma la solitudine della mia casa mi ha riportato alla realtà e mi ha fatto dimenticare il calore che mi aveva invaso sentendo la musica. Il giorno dopo con umore cupissimo sono ripassata dal giardino e ho dato un occhio al presepe, spinta da una strana curiosità. Non era il solito, questo era certo. Era molto curato nei particolari, con dei pastori bellissimi che riproducevano lavori artigianali. Ero intenta a guardare ogni cosa e non mi sono accorta che alle mie spalle c’era una persona. La sua voce possente mi ha riportata alla realtà. Era un uomo sulla quarantina, alto e con dei bellissimi occhi nocciola. Si è presentato, si chiamava Andrea ed era il nuovo portiere che da un semestre lavorava nel palazzo. Aveva la passione per i presepi ed aveva chiamato gli zampognari, un gruppo di suonatori di Concorezzo in provincia di Milano che conosceva, perché senza novena non gli sembrava Natale. E poi ha parlato del suo arrivo a Milano e del suo nuovo lavoro che gli piaceva tanto. Mi ha detto anche che mi vedeva sempre da sola e spesso gli sono apparsa triste e per quel motivo non si era avvicinato prima. Davanti al caffè che ha insistito per offrirmi al bar all’angolo, finalmente ha smesso di parlare e sorridendo mi ha chiesto come mi chiamassi. Gli ho detto il mio nome e poco altro, poi sono andata di corsa al lavoro. In metropolitana mi sono ritrovata a sorridere tra me e me, come non mi capitava da tempo. Andrea mi aveva avvolto con la sua parlantina e mi aveva guardato, tra una chiacchera e l’altra, con quei suoi occhi bellissimi. Mi aveva fatto sentire bella come non mi capitava da anni. Il tutto in una manciata di minuti che non arrivavano a mezzora. Non sospettavo quella mattina che l’avrei rivisto quello stesso pomeriggio, mi stava aspettando all’entrata del portone per accompagnarmi fino all’appartamento e per strapparmi una specie di mezzo appuntamento per il giorno dopo per ascoltare insieme la novena degli zampognari. E così con quel suo modo di fare a tratti indolente, a tratti diretto e ruvido, Andrea mi ha fatto compagnia per tutto il mese. Mi ha preso il cuore così, tra una novena e l’altra, e senza quasi che io potessi opporgli resistenza. Alla vigilia di Natale è venuto da me per la cena. Abbiamo mangiato, giocato a tombola e poi siamo andati insieme alla messa di mezzanotte. Anche il resto della notte l’abbiamo trascorsa insieme. Abbiamo parlato tanto e fatto l’amore. E’ stata la notte di Natale più bella che ho avuto o forse no. Forse a pensarci bene la notte più bella sarà quella di quest’anno, perché se i tempi saranno quelli giusti, a Natale prossimo saremo io, Andrea e la nostra bambina. Ma se dovessimo aspettare ancora qualche giorno per incontrare la nostra piccola, sarà un Natale comunque meraviglioso perché come ha detto Andrea l’anno scorso, Natale è una festa che ognuno di noi si porta dentro. Non importa dove si è, con chi si è o quale brutto momento si stia attraversando, se sappiamo cercare dentro di noi, troveremo la forza e la fiducia per rinascere. Io grazie a lui, l’ho trovata.