“C’era una volta un clandestino” è il libro che ha vinto il premio Books for Peace 2019 -Special Culture Award e dopo averlo letto, posso affermare che è un premio meritatissimo.
Eltjion Bida è uno dei tanti ragazzi albanesi che a metà degli anni ’90 fugge da un paese che fa fatica a riprendere le fila della democrazia dopo la caduta del sanguinoso regime comunista di Hoxha e, attraverso un viaggio in gommone, approda sulla sponda italiana dell’Adriatico.
Questo libro racconta la storia di quel ragazzo ma è qualcosa di più di un libro autobiografico. Il racconto degli incontri che fa Elty in Abruzzo e, poi, lungo la penisola da Brindisi a Milano dipingono perfettamente l’Italia di fine anni Novanta. La gente che si incontrava in treno, non c’era ancora l’alta velocità né i cellulari, ti parlava e aveva voglia di conoscerti, anche se eri straniero. Una cultura dell’accoglienza che oggi sembriamo aver smarrito. In quegli anni e da quel libro, l’Italia che emerge era ancora un paese ospitale.
Poi c’è la voce del protagonista che corre sul filo del buon umore e della speranza e che, con grande dignità, parla al cuore. Nonostante il lavoro massacrante, nonostante alcune scorrettezze subite, nonostante tutto, Elty va avanti e alla fine ce la fa.
Il clandestino lascia lo spazio all’albanese col permesso di soggiorno che a sua volta poi lascerà il posto all’uomo che oggi è diventato, che abita a Milano, sposato con un’insegnante madrelingua inglese e che vuole fare lo scrittore.
Ci riuscirà ancora Eltjion, ne sono certa, perché il libro ha necessariamente bisogno di un seguito. I tanti personaggi che lo popolano li lasciamo a metà strada e, la storia diventa talmente coinvolgente, che dobbiamo per forza sapere che fine ha fatto Sem, i fratelli clandestini che vivono con Elty e Sem nel vagone abbandonato. E Adriana dalla Germania? E Francesca?
Quindi in attesa che esca il seguito … iniziate a leggere C’era una volta un clandestino perché fa bene all’umore e apre i cuori.