Mostra Palazzo Reale – Enrico Baj “Funerale di Pinelli”

 

Milano invasa dall’aria calda … così come Roma o Venezia lo sono di turisti. E in una pausa, calda e carnale, decido di andare nascondermi dall’invasione di afa e di odori, nel Palazzo Reale, accanto al Duomo.

Le locandine invitano, gratuitamente, alla mostra sugli anni ’70 che il Comune di Milano ha allestito nelle sale di Palazzo Reale. Rispondo all’invito e percorro le stanze dove mi assale un freddo intenso, non dovuto all’aria condizionata gelida, ma alle foto in bianco e nero che sembrano dichiarare la mancanza di colori che ha segnato gli anni di piombo a Milano e in Italia.
Talvolta degli sprazzi di rosso o grigio acceso, penso dovute ad eccedenze di rotative.
Arrabbiati, sdegnati, urlanti eppure sempre insieme, folle di ragazzi e ragazze, perlopiù giovani, affolano le pareti delle sale. Collettivi e bandiere rosse, pietre e manganelli. Tutto appesa alle pareti di stanze vuote. Sono sola.
E penso che questo ci hanno lasciato gli anni ’70, una grande solitudine.
Un senso di imcompiuto che mi avvolge e mi trascina fino all’ingresso della Sala delle Cariatidi. BUIA.
La vista si orienta e focalizza la luce nel fondo della sala. 30, 40 metri da percorrere e a lato, illuminate dal basso, statue, per la maggior parte, antromorfe che gridano silenziosamente il loro diritto ad un possente restauro. Sensazione di antro di inferi.
E la vista si riprende ciò che è suo e si adegua catturando per primi i flash rossi e verdi degli automi poliziotti. E fisso con paura gli occhi a forma di rotella, di ingranaggio. Occhi senza vita. Senza cervello. Senza cuore.
Nel mezzo, la figura di Pinelli, che come un novello cittadino di Guernica, cade. A testa in giù. E muore.
Allora Enrico Baj, magistrale autore dell’opera, affianca a colui che cade un insieme di figure, sgomente e attonite. Umane. Persone a destra. Automi a sinistra. E giù, piangenti, le vittime più vittime dell’innocente. Sole e divise, due bimbe ed una moglie piangono straziate la perdita del loro papà e marito.
La potenza di questo messaggio, l’unico che arriva, oggi in quest’epoca di individualismo, mi annienta e nell’immensa sala, con un guardiano seduto all’altro capo della stanza ed intento a giocare con lo smartphone, mi ritrovo a piangere al funerale di un uomo che non ho neanche conosciuto.

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